La Corte di Giustizia Europea si è espressa sulla normativa dell’Italia a proposito della responsabilità dell’operatore sull’inquinamento terreni. In Italia non si impongono misure di prevenzione e di riparazione a carico dei proprietari non responsabili dell’inquinamento dei loro terreni. Questa normativa italiana, secondo la Corte di Giustizia Europea, è compatibile con il diritto dell’Unione.
Per giungere a tale conclusione la Corte ricorda la costante giurisprudenza italiana in base alla quale il principio “chi inquina paga” (articolo 191, paragrafo 2, TFUE) si rivolge all’azione dell’Unione e non può essere invocata da privati o da autorità amministrative.
La Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale dice che l’operatore che gestisce un sito deve, in linea di principio, sopportare i costi delle misure di prevenzione e di riparazione adottate in risposta al verificarsi di un danno ambientale.
Questi costi però non sono a suo carico nel caso in cui l’operatore possa provare che il danno è stato causato da terzi.
La Corte analizza i presupposti della responsabilità ambientale della Direttiva e si sofferma in particolare sulla nozione di «operatore» e sulla necessità della sussistenza di un nesso causale tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale: le persone diverse dagli operatori non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva e, quando non può essere accertato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l’attività dell’operatore, tale situazione non rientra nel diritto dell’Unione, bensì nel diritto nazionale.
La direttiva consente comunque agli Stati membri di adottare norme più severe.
Per inquinamento terreni, a loro carico, gli Stati membri UE sono liberi di prevedere, allorché tali misure sono adottate dalle autorità, una responsabilità solo patrimoniale.
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