Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, è intervenuto senza mezzi termini, sul Sole 24 Ore di ieri, sull’attualissimo tema della riforma delle professioni: gli architetti devono fare politica economica, per “raddrizzare” la pessima situazione che si è venuta a creare in Italia in seguito ad anni di strapotere delle P.A. e di sottomissione degli Ordini a meccanismi inadeguati alla buona progettazione. A proposito della liberalizzazione delle professioni tecniche abbiamo già pubblicato il parere (infuocato) del sindacato Federarchitetti e il resoconto (più cauto) dell’incontro tra lo stesso Freyrie, Marina Calderone (presidente del Cup – Comitato unitario delle professioni – e del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro) e il Ministro della giustizia, Paola Severino (precisiamo che è pronto il testo aggiornato del Decreto liberalizzazioni, pubblicato qui).
“Le professioni devono entrare nella politica economica” per chiedere regole che favoriscano lo sviluppo rispettoso delle competenze che ciascuno possiede. Sono le indicazioni che provengono da Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, in una conversazione i cui contenuti sono riportati in un articolo di Giorgio Santilli sul Sole 24 Ore del 18 gennaio 2012. Il rapporto tra i professionisti e la politica economica è dunque il punto da cui partire per parlare di riforma delle professioni, degli Ordini e del rapporto esistente tra architetti e ingegneri con le P.A. e le società parapubbliche.
Attacca così l’articolo di Santilli, riportando una delle dichiarazioni al vitriolo di Freyrie: “Siamo l’unico paese al mondo che ha realizzato il suo secondo hub aereoportuale senza neanche un concorso di progettazione e il risultato di questa politica si vede: un orrendo edificio fa da porta di accesso da tutto il mondo alla più importante area economica del Pese. Non andraà meglio all’Expo, dove la qualità sarà scadente, come a Malpensa”.
I temi sono, appunto, quelli della riforma delle professioni e della cessazione dello strapotere dei soggetti pubblici.
A proposito di riforma delle professioni, il presidente sostine che “sono tutte sciocchezze queste cose spacciate per liberalizzazioni che porterebbe un aumento del Pil, mentre è vero che dovremmo finalmente chiudere questa discussione sugli Ordini e cominciare a parlare di una politica economica per le professioni che favorisca la crescita, il mercato”, sblocchi gli investimenti e ridia certezze all’edilizia.
A proposito di riforma degli Ordini Freyrie dice: “Il testo approvato con la manovra estiva va già bene, ora bisognerebbe correggerlo soltanto in un paio di punti” (le società di capitali e aver eliminato ogni riferimento alla tariffa).
Società di capitali. Freyrie sostiene che non ha alcun senso attribuire agli Ordini solo gli svantaggi di considerarli imprese e nessun vantaggio derivante da questa trasformazione. “Si dovrebbe escludere per legge che il socio non professionista possa amministrare e possedere la maggioranza del capitale”.
Tariffe. “Nessuno vuole tornare al minimo garantito” ma “senza una tariffa di riferimento o un parametro informativo (…) crescerebbe l’asimmetria informativa a danno del contribuente”.
Per ciò che concerne lo strapotere delle società pubbliche o affini, Freyrie rincara decisamente la dose: “Il problema vero è che la pubblica amministrazione paga ormai a un anno e i privati a sei mesi, mentre riceviamo dalle banche credito a 60 giorni”. Il Consiglio nazionale sostiene quindi la proposta di rilancio dei concorsi di architettura (attualmente all’esame della Camera dei deputati, sostenuta di Pd-Pdl e Udc) per favorire la trasformazione urbana: in questo, occorre dare alle professioni il ruolo che spetta loro. Insomma, il paese “cade a pezzi”, non ci sono piani urbanistici e di riqualificazione, e nessuno chiama gli architetti all’intervento che spetta loro, per professione e competenze.
Gli architetti sono isolati? No, non è questo il punto. Il punto sta in un fatto concreto: “i soldi delle tasse che paghiamo vengono usati per un soggetto pubblico che ci fa concorrenza e ci toglie il lavoro (…) con i pessimi risultati che vediamo in termini estetici”. In accordo con l’Antitrust bisogna escludere dal mercato le strutture pubbliche, non per annientarle, ma per ricondurle “alle loro attività statuarie”.
Fonte delle informazioni: Il Sole 24 Ore del 18 gennaio 2012
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