Quindi l’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea, mentre l’approvazione della manutenzione straordinaria compete invece all’assemblea dei condomini.
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Opere di manutenzione straordinaria e competenza dell’amministratore
Il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall’art. 1135, comma 2, c.c., è fondato sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale (Cass. civ., sez. VI, 17/08/2017, n. 20136).
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L’amministratore che, avvalendosi dei poteri di cui all’art. 1135 c.c., comma 2, abbia assunto l’iniziativa di compiere opere di manutenzione straordinaria caratterizzate dall’urgenza, che effettivamente ricorra, spendendo, nei confronti dei terzi, il nome del condominio, assume una obbligazione a questo direttamente riferibile, giacché in tal caso il condominio deve ritenersi validamente rappresentato. Al contrario, qualora i lavori eseguiti da terzi su disposizione dell’amministratore siano carenti del requisito dell’urgenza, il relativo rapporto obbligatorio non è riferibile al condominio.
Dovere di buona fede e correttezza dell’amministratore di condominio
In tema di esecuzione del contratto, la buona fede si atteggia come un impegno di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte.
L’amministratore potrebbe anche compiere delle attività svolte al di fuori delle proprie attribuzioni, ma solo allorquando possa ragionevolmente ritenere che il mandante approverebbe il di lui operato, giusto quanto disposto dall’art. 1711 c.c., secondo comma.
In effetti, il dovere (o principio) di buona fede oggettiva o di correttezza, fondato sull’art. 2 Cost., opera come regola generale di condotta (art. 1175 c.c.), come regola di interpretazione del contratto, nonché come autonomo criterio di determinazione della prestazione contrattuale e di integrazione del compilamento dovuto (art. 1375 c.c.).
Il predetto dovere trova, dunque, applicazione anche nei rapporti tra amministratore, da un lato, e condominio e singoli condomini, dall’altro, a prescindere dalla sussistenza di specifiche prescrizioni contrattuali o normative, e si concreta in obblighi di protezione, di corretta e tempestiva informazione e avviso, nonché di salvaguardia dell’utilità altrui, per quanto nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, che cioè non si concreti in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi (tra le altre, Cass. civ. sez. III, 06/05/2020, n. 8497).
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Malafede dell’amministratore: esempio pratico
Vediamo un esempio pratico di opere di straordinaria manutenzione non volute dalla collettività condominiale. Il Tribunale di Milano si è infatti recentemente occupato di una vicenda di “elusioni, omissioni ed infedeltà” poste in essere dall’amministratore di un caseggiato, poi inevitabilmente sostituito.
Un condominio citava in giudizio l’ex amministratore accusato di aver dato incarico ad un’impresa di eseguire un’opera non obbligatoria per legge, né urgente, consistente nella fornitura e posa di valvole d’intercettazione dell’impianto di riscaldamento. L’attore faceva presente che l’amministratore uscente aveva pagato il corrispettivo (di 10.175,00 euro, iva inclusa), con denaro presente sul conto corrente condominiale; e tutto ciò senza che l’assemblea avesse deliberato i lavori, né la relativa spesa.
In particolare – come precisato dallo stesso condominio – il convenuto ometteva di informare il condominio tanto del preventivo dell’impresa quanto dell’intenzione di commissionare i lavori; in ogni caso le opere venivano realizzate e solo dopo due anni, a seguito di reiterate richieste di chiarimenti, il convenuto forniva ai condomini copia del preventivo dell’impresa; successivamente, con la finalità di occultare o quantomeno rendere meno evidente la relativa spesa, contabilizzava il corrispettivo dell’opera nella gestione ordinaria sotto voci errate, dividendolo in due esercizi.
Come ha precisato il Tribunale, l’amministratore quando intenda ricevere una ratifica indiretta, attraverso l’approvazione del rendiconto, deve a tal fine presentare la specifica voce di spesa e provocare apposita discussione e ciò è necessario proprio in virtù del dovere di buona fede e correttezza. Quindi, secondo lo stesso giudice, in tali casi il condominio non era tenuto pagare il corrispettivo all’impresa e l’amministratore in mala fede deve essere condannato a restituire ai condomini la somma pagata all’impresa non dovuto, nonché le spese di lite (Trib. Milano, sez. I, 20 settembre 2023).
Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista
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Immagine: iStock/Paolo Cordoni
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