Le novità nell’ultima bozza della legge di Bilancio, che cambia ancora una volta le carte in tavola sul Superbonus. Il nuovo testo prevede infatti che la plusvalenza non sia dovuta nel caso in cui i lavori siano stati conclusi da più di dieci anni.
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E poi precisa che nel caso in cui gli interventi agevolati per i quali si è usufruito dell’opzione si siano conclusi da più di cinque anni all’atto della cessione, nella determinazione dei costi inerenti al bene si tiene conto del 50 per cento di tali spese.
Confermato, per chi vende dopo cinque anni che il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, è rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Brutta sorpresa per chi fa pensava di poter guadagnare rivendendo case ristrutturate con il Superbonus tramite sconto in fattura o cessione del credito. A meno di non riuscire a concludere la vendita entro fine anno, infatti, scatterà la tassazione piena sulle plusvalenze, ossia senza poter scontare i “costi inerenti” se la vendita viene effettuata prima di cinque anni dal termine dei lavori.
Esclusi dalle nuove norme sulla tassazione gli immobile utilizzati come prima casa o ereditati.
Le novità nell’articolo 18 della bozza della legge di Bilancio che sta per approdare in Parlamento e prevede le nuove modalità per tutte le compravendite effettuate dal 1° gennaio 2024. In pratica il Fisco si riprende i soldi riconosciuti sotto forma di detrazione maggiorata quando è stata scelta la via dello sconto in fattura o della cessione del credito, ossia quando si tratta di case di fatto ristrutturate a zero euro.
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Plusvalenza e costi inerenti
Al momento, e ancora solo fino a fine anno se la norma sarà confermata così com’è, la plusvalenza, ossia il guadagno realizzato da chi vende un immobile acquistato da meno di cinque anni, rientra tra i “redditi diversi” soggetti a tassazione con imposta sostitutiva al 26%, in quanto si presuppone che l’operazione di acquisto e rivendita in un lasso di tempo così breve sia stata fatta meramente a scopo speculativo. Esclusi dalla tassa sulle plusvalenze gli immobili ereditati e quelli utilizzati come prima casa dal proprietario o dai suoi familiari per la maggior parte di tempo intercorso tra l’acquisto e la vendita.
La plusvalenza è data dalla differenza tra il valore di vendita e il prezzo di acquisto dell’immobile aumentato di tutti i cosiddetti “costi inerenti”, ossia le altre spese sostenute dal venditore sia per l’acquisto che per il miglioramento dell’immobile.
Rientrano nella lista le spese notarili, le imposte di trascrizione, ipotecaria e catastali, e le spese di ristrutturazione, comprese, fino ad oggi, quelle per il Superbonus. Non sono invece deducibili le spese per la normale gestione del bene, come quelle di manutenzione ordinaria.
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Cinque anni dalla chiusura del cantiere
Dal prossimo anno, invece, le cose cambiano e sarà necessario un periodo di tempo più lungo per dimostrare di non avere effettuato l’operazione a scopo speculativo. Gli anni di tempo che debbono trascorrere per evitare la tassazione sulle plusvalenze non vanno conteggiati dal giorno del rogito di acquisto, ma da quello di conclusione dei lavori di Superbonus.
Chi aspetta questo termine non verrà tassato. Chi invece vende prima e ha scelto lo sconto in fattura o la cessione del credito per il Superbonus, non potrà scontare questi costi dal prezzo di vendita. Per gli stessi contribuenti in caso di immobili acquisiti o costruiti, alla data della cessione, da oltre cinque anni, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione è rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
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La linea morbida delle Entrate e la scelta del governo
In realtà il dubbio che rivendere un immobile riqualificato a zero spese grazie a sconto o cessione potesse essere un’operazione speculativa era venuto a più di qualcuno. Ma due anni fa con la risposta 204/2021, l’Agenzia delle Entrate aveva rassicurato tutti sostenendo che le spese per la realizzazione degli interventi agevolati con il Superbonus incrementano il valore dell’immobile anche se non si tratta di spese effettivamente sostenute in quanto è stata scelta l’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito.
Di conseguenza, sosteneva l’Agenzia, “tali spese sono deducibili dal prezzo di vendita al fine del calcolo delle plusvalenze”, risultando “irrilevante” l’esercizio dell’opzione, in quanto “modalità alternativa alla fruizione diretta della detrazione” , mentre “una diversa interpretazione, determinerebbe de facto una tassazione del beneficio derivante dalla fruizione della detrazione fiscale – ancorché fruito sotto forma di sconto in fattura – mediante la tassazione di una maggiore plusvalenza ex articolo 68, comma 1, del TUIR”. E proprio questa maggior tassazione è quella che si applicherà su chi venderà casa riqualificata con il Superbonus da ora in poi, dato che il governo ha scelto questa via.
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Niente tassazione su prima casa e immobili ereditati
Anche con le nuove norme si salvano dalla stretta le compravendite che riguardano immobili utilizzati come prima casa e immobili ereditati anche se sono stati riqualificati col Superbonus a zero euro. La norma prevede infatti che restano esclusi dall’applicazione delle disposizioni gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale dal proprietario o dai suoi familiari per la maggior parte dei cinque anni precedenti alla cessione o, nel caso di acquisto da meno di cinque anni, per la maggior parte di questo periodo.
Dalla prima lettura del testo, inoltre, risultano esclusi dalla stretta anche i proprietari che hanno optato per la detrazione dalle spese dall’Irpef, per i quali dovrebbe risultare dunque la possibilità di detrarre i costi sostenuti dal prezzo di vendita ai fini del calcolo della plusvalenza, ovviamente sempre nel caso in cui la casa sia rivenduta prima dei cinque anni dalla chiusura del cantiere dei lavori.
Da vedere se il Parlamento confermerà la stretta o se ci saranno emendamenti.
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Foto:iStock.com/Perawit Boonchu
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