Modifica parti comuni condominio: consenso lecito, illecito e necessario dell’assemblea

In linea generale il condomino può apportare alle cose comuni modifiche che gli consentano di trarre una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ma vediamo quando il consenso dell’assemblea è lecito, illecito o necessario

Come abbiamo visto in diversi articoli, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi.

In particolare, per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.

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Del resto, la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’art. 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione (Cass., sez. II, 14/04/2015, n.7466; Cass. civ., Sez. II, 01/08/2001, n. 10453).

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Modifica parti comuni condominio, consenso lecito assemblea

In linea generale il condomino può apportare alle cose comuni tutte le modifiche che consentano di trarre dalle medesime una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti al condominio.

In particolare, a differenza dalle innovazioni che mutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile l’utilizzazione secondo la funzione originaria (ad esempio: installazione di un ascensore, un impianto fotovoltaico, trasformazione di un’area verde in parcheggio, ecc.), e che debbono essere deliberate dall’assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell’interesse di tutti i partecipanti, le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse e a proprie spese, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso.

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All’eventuale autorizzazione ad apportare una modifica concessa dall’assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini all’utilizzazione, anche particolare, della parte comune. Così, ad esempio, si deve ritenere valida la delibera con la quale l’assemblea autorizzi chi lo richieda all’uso del vano contenente la canna pattumiera (già sigillata in esecuzione di precedente delibera) allo scopo di alloggiarvi il contatore e la caldaia di produzione dell’acqua calda, non prevedendo essa la realizzazione di opere da parte del condominio incidenti sull’essenza della cosa comune, in quanto idonee ad alterarne l’originaria funzione e destinazione ed a consentirne una diversa utilizzazione in favore di tutti i condomini (Cass. civ., Sez. II, 16/01/2013, n. 945).

Modifica parti comuni condominio, consenso illecito assemblea

La delibera di autorizzazione è comunque impugnabile dai condomini assenti o dissenzienti, ove essa risulti pregiudizievole per la statica o la sicurezza del fabbricato, o lesiva del decoro architettonico dell’edificio, o renda la parte comune inservibile all’uso o al godimento anche di un solo comproprietario, non dando ciò luogo ad un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle valutazioni del merito o sulla discrezionalità di cui dispone l’assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini.

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Merita di essere ricordato poi che è radicalmente nulla quella delibera con cui l’assemblea autorizza il condomino ad eseguire un intervento di modifica di una parte comune dell’edificio (il lastrico solare di superficie piana in un tetto inclinato) senza alcuna limitazione o specificazione tecnica riguardo alle modalità di esecuzione dell’opera. È evidente che, in questi termini, la delibera non possa ritenersi determinata, né determinabile nell’oggetto, in quanto essa potrebbe essere attuata in molteplici modi e comunque in quanto caratterizzata dall’attribuzione di una facoltà di edificare senza limiti al condomino (Trib. Venezia 21 giugno 2023 n. 1086).

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Il regolamento può validamente richiedere, per le modifiche incidenti sulle facciate dell’edificio o su altre superfici che concorrano a delineare il decoro del fabbricato, il benestare dell’assemblea, mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, che pone nell’interesse comune una peculiare modalità di definizione dell’indice del decoro architettonico.

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Se esiste una tale limitazione nel regolamento, le modifiche apportate da uno dei condomini, in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, valgono a far qualificare presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell’edificio ed a configurare l’interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della cosa comune; né tale interesse può ritenersi escluso per la possibilità di una postuma convalida da parte dell’assemblea, perché l’esercizio del potere di azione non può trovare ostacolo nella aleatoria evenienza di una successiva convalida da parte dell’assemblea (Cass. civ., sez. II, 28/12/2022, n. 37852).

Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista 

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Immagine: iStock/miniseries

Giuseppe Bordolli

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