Ventilazione Covid-19. La trasmissione attraverso superfici è rara a differenza di quella aerea

L’Istituto Superiore di Sanità, ha aggiornato il documento dedicato alla sanificazione di strutture non sanitarie (ambienti e superfici) fornendo nuove indicazioni a proposito della trasmissione aerea del virus che invece raramente si trasmette per contatto con superfici infette

Simona Conte 08/06/21

L’Istituto Superiore di Sanità, ha aggiornato il documento “Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: ambienti /superfici” fornendo nuove indicazioni a proposito della trasmissione aerea del virus che invece risulta raramente trasmissibile per contatto con superfici infette.

Un’evidenza dimostrata attraverso numerosi studi scientifici pubblicati negli ultimi mesi e riconosciuta dall’OMS, che pone una maggiore attenzione verso la sanificazione dell’aria e degli ambienti.

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Le superfici passano in secondo piano in quanto l’infezione tramite contatto attraverso superfici contaminate, viene riconosciuta come molto rara (addirittura 1 caso ogni 10 mila secondo i CDC statunitensi). Pertanto essendo la modalità di trasmissione ad oggi più focalizzata sulla via aerea, maggiore attenzione è richiesta sugli aspetti riguardanti la sanificazione dell’aria e dell’ambiente, in associazione con le misure raccomandate dalle disposizioni vigenti in relazione alla situazione pandemica.

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A proposito di sanificazione, viene confermato il termine che la identifica così come indicato nel Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020, attraverso il quale si intende, relativamente al COVID-19, il complesso di procedimenti e operazioni atti a rendere sani determinati ambienti mediante l’attività di pulizia e/o di disinfezione ovvero mediante il controllo e il miglioramento delle condizioni del microclima per quanto riguarda la temperatura, l’umidità e la ventilazione ovvero per quanto riguarda l’illuminazione e il rumore.

Vediamo nel dettaglio quali sono le raccomandazioni sulla ventilazione e gli impianti di aerazione forniti dall’ISS e cosa c’è da sapere per evitare la trasmissione negli ambienti indoor.

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Rischio infezione. Quale è il tempo di esposizione in un ambiente al chiuso?

Per la valutazione quantitativa del rischio di infezione individuale di soggetti suscettibili esposti in microambienti indoor in presenza di un soggetto asintomatico infetto da SARS-CoV-2, è stato presentato uno studio che tiene conto di un nuovo approccio applicato a quattro situazioni tipo:

  • stanza di ospedale,
  • palestra,
  • ristorante,
  • sala conferenze.

Dallo studio condotto, al fine di garantire un rischio considerato accettabile inferiore ad 1 su 1000 per soggetti esposti in ambienti interni naturalmente ventilati, il tempo di esposizione dovrebbe essere inferiore ad un’ora. Tale tempo massimo di esposizione dipende chiaramente dall’emissione di carica virale del soggetto infetto e dalle condizioni di esposizione; pertanto, sono stati stimati tempi di esposizione più lunghi per ambienti interni ventilati meccanicamente e minori emissioni di carico virale.

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Lo stesso approccio è stato anche applicato ai mezzi di trasporto e ad ambienti scolastici, dove in questo caso oltre a stimare il rischio per diversi scenari, è riportata una procedura per il controllo del rischio di contagio con la semplice aerazione utilizzando sensori di CO2 come proxy per la stima della ventilazione.

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La ventilazione è importante, ma da sola non basta

Nel documento si legge che l’efficacia della ventilazione è riferita ai volumi/ora o ai litri/secondo/persona, ovvero alla capacità di ricambiare l’aria interna con aria esterna, o aria di ricircolo trattata, non contenente particelle virali. Viene poi precisato che il ricambio può essere garantito con la ventilazione naturale o ventilazione meccanica degli ambienti interni.

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Nel documento si ribadisce che la riduzione del rischio a valori accettabili non può essere garantita in tutti i casi dalla sola ventilazione, ma è necessario intervenire prioritariamente sulla riduzione dell’emissione e sugli altri fattori determinanti in modo tale da rendere accettabile un ricambio di aria ragionevolmente praticabile.

Si legge anche che quando non è possibile limitare, tra gli altri, l’emissione della sorgente (es. ristorante con persone che parlano ad alta voce senza protezione o altro) è necessario intervenire su altri parametri (affollamento, tempi di esposizione, ecc.) al fine di garantire una riduzione del rischio con una ventilazione tecnicamente praticabile.

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Il ricambio e il flusso d’aria

L’ISS fornisce, inoltre, raccomandazioni sulla direzione del flusso dell’aria, che deve essere tale da evitare il passaggio della stessa tra diverse persone e prevenire l’eventuale trasmissione del contagio.

Circa il ricambio d’aria all’interno degli ambienti, questo può essere realizzato anche attraverso l’apertura regolare e ottimizzata delle finestre e di altri accessi, escludendo quelle più vicine alle strade trafficate ed evitando di effettuare tale operazione nelle ore di punta del traffico.

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Di che quantità si parla?

La quantità dei volumi d’aria da cambiare ogni ora varia a seconda delle stime: l’ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers) raccomanda un volume variabile da 3 a 5, mentre l’Oms fornisce un’indicazione di massima pari a 10 litri d’aria per secondo per persona.

I valori relativi al volume di aria che sarebbe necessario rinnovare per diminuire la probabilità di trasmissione di agenti patogeni da un soggetto infetto dipendono da un elevato numero di fattori quantificabili (es. qualità dell’aria utilizzata per il ricambio, numero di persone presenti, tipo di attività che causa l’espulsione di secrezioni respiratorie, volumetria dell’ambiente e ventilazione, ecc.) che con appropriati modelli consentono di fornire indicazioni per i diversi scenari, oggetto di progettazione così come spiegato nel volume Progettare l’aria .

 > Per saperne di più scarica il pdf del documento ISS <

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