SCIA o Permesso di Costruire? Le regole dopo il Salva-Casa

Tra gli articoli di nuova introduzione nel testo unico da parte del Salva-Casa, quello che più incide sulle procedure edilizie di accertamento di conformità è il 36-bis. Vediamo cosa cambia

Marco Campagna 04/12/24

Del decreto Salva-Casa si è scritto e detto molto, anche a partire da prima della sua pubblicazione, inizialmente avvenuta a maggio 2024: i motivi di queste grandi discussioni è relativo anche e soprattutto al fatto che, pur non essendo stata intaccata la struttura generale della normativa del testo unico dell’edilizia DPR 380/01, le innovazioni apportate da questa legge hanno riguardato in modo diretto le procedure amministrative per l’ottenimento dei titoli edilizi in accertamento di conformità, introducendo dunque delle novità rilevanti non solo nelle possibilità di addivenire ad uno stato legittimo in caso di difformità, ma anche nella procedura stessa.

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Marco Campagna | Maggioli Editore 2024

Indice

L’articolo 36-bis che ridefinisce le difformità

Tra gli articoli di nuova introduzione nel testo unico da parte del Salva-Casa quello che più incide sulle procedure edilizie di accertamento di conformità è il 36-bis, il quale prende le veci del precedente art. 37 comma 4 e ne amplia sia la sfera di competenza che le funzioni, diventando nei fatti un articolo “piglia (quasi) tutto” nell’ambito delle sanatorie ordinarie.

L’art. 36-bis oggi spazia le sue competenze di influenza al di sopra di tutto ciò che la norma definisce “difformità parziali” fino a ricomprendere tutte le “variazioni essenziali”: per chi non è a dimestichezza con questi termini con cui dovremo iniziare a prendere contatto con più attenzione nel futuro, si può in estrema sintesi dire che il 36-bis oggi può essere usato per accertare la conformità di tutto ciò che non è stato eseguito in assenza di titolo o in variazione totale, cioè le difformità che rimangono ancora di competenza dell’art. 36.

Le “difformità parziali” difatti, sempre sintetizzando, sono tutte quelle differenze tra effettiva realizzazione e progetto che non sono tolleranze costruttive (le quali per definizione dell’art. 34-bis non devono essere a prescindere oggetto di una sanatoria, in quanto “tollerate”) e che non sconfinano nell’alveo delle variazioni essenziali di cui all’art. 32, mentre queste ultime, pure comprese nel 36-bis, racchiudono una definizione ampia di difformità che ricomprendono anche i cambi d’uso rilevanti ed opere che possono essere assimilate anche alla ristrutturazione edilizia, oltre a modifiche importanti al progetto come variazione dell’area di sedime. Potendo quindi l’art. 36-bis gestire difformità di queste due categorie, ecco dimostrata l’ampiezza della sua competenza amministrativa. In questo articolo tralasciamo il tema, pure complesso, relativo al fatto che l’art. 32 demanda alle singole regioni di definire in dettaglio le variazioni essenziali, sicché l’art. 36-bis ad oggi è applicabile in modo differenziato, in funzione di come ciascuna regione ha recepito ed applicato la norma.

Intanto, va evidenziato un aspetto che mi preme sempre sottolineare: l’art. 36-bis facendo riferimento alle definizioni delle difformità (le variazioni essenziali e le difformità parziali, appunto) ha stravolto il modo in cui si concepivano le istanze edilizie prima di tali innovazioni, in quanto prima del Salva-Casa il titolo edilizio in sanatoria, salvo casi particolari, rimaneva connesso alla definizione dell’intervento edilizio che doveva gestire (ad esempio la SCIA in accertamento di conformità art. 37 comma 4 presentata per opere che, se erano da fare, avrebbero richiesto il medesimo titolo), mentre invece oggi non esiste più tale rapporto ed il titolo in accertamento di conformità segue le definizioni degli illeciti: la cosa può creare scompiglio ma tutto sommato si tratta anche di una semplificazione, per fortuna dovuta anche al fatto che in sede di conversione in legge del decreto è stato aggiunto, tra le competenze dell’art. 36-bis, anche la gestione delle variazioni essenziali, cosa che ne ha oggettivamente ampliato la competenza per come ne stiamo discutendo ad oggi.

L’ulteriore particolarità del 36-bis, e che deriva proprio dal fatto che esso è come detto ormai sganciato dalle definizioni degli interventi edilizi, è che ai sensi di questo articolo possono essere presentate sia delle SCIA sia dei permessi. Tuttavia, ad una prima lettura della norma potrebbe non apparire chiaro quando utilizzare l’una o l’altro o se si tratti di una opzione a scelta del richiedente: questo articolo è focalizzato proprio su questo aspetto. Come vedremo, però, in parte si finisce con il tornare (quasi) all’origine in quanto, sebbene ciò non sia espressamente chiarito dalla legge, appare doversi ritenere implicito che la scelta della forma del titolo edilizio non possa non essere coerente con quello che si dovrebbe utilizzare laddove si eseguissero nuove opere come quelle rilevate in difformità.

Va comunque detto, prima di addentrarsi nel commentare la norma sull’aspetto specifico della scelta tra SCIA e Permesso, che quelle qui esposte sono delle ipotesi costruite sulla base della logica e della coerenza: tuttavia la norma non indica in modo esplicito quando optare per l’una e per l’altra scelta né è espressamente chiarito altrove quale sia la logica alla base delle valutazioni, dunque si consideri che quanto qui si dirà potrebbe successivamente essere smentito ad esempio dall’imminente pubblicazione delle linee guida ministeriali di applicazione del decreto Salva-Casa.

Chi scrive anzitutto ritiene che sia da scartare l’ipotesi del capoverso precedente secondo la quale possa essere una libera opzione a scelta dell’interessato decidere se presentare il titolo in una forma piuttosto che un’altra: SCIA e permesso seguono una logica applicativa ed occorre anzi fare grande attenzione a quando presentare l’una o l’altro. Dunque intanto, si sgombri il campo dall’ipotesi che si tratti di una scelta opzionale.

Come orientarsi tra SCIA e permesso?

Come orientarsi tra SCIA e permesso, dunque? Ad avviso dello scrivente la scelta deve seguire la definizione di intervento edilizio, a meno che non si tratti di una fattispecie espressamente catalogata dalla norma. Ad esempio, il comma 2 del 36-bis dice che nel caso in cui si debbano eseguire opere di conformazione, cioè opere edilizie che consentono di portare l’immobile in uno stato legittimabile (la famosa “sanatoria condizionata” che prima non esisteva ed anzi era stata considerata quasi sempre “impossibile” dalla giustizia amministrativa), occorre presentare una richiesta di permesso: dunque in questo caso appare chiaro che non è possibile presentare una SCIA quando ci siano opere da fare; tuttavia, potrebbe non essere preclusa l’idea che possa in ogni caso sussistere il principio del silenzio-assenso, il cui istituto è previsto in alcuni casi anche per il permesso di costruire “ordinario” dunque la cosa non sarebbe peregrina.

A parte il caso specifico descritto al capoverso precedente, negli altri casi sembra possibile sostenere l’ipotesi che tra SCIA e permesso la scelta debba ricadere in funzione del tipo di opera edilizia che deve essere portata in accertamento di conformità, e su questo può aiutare fare uno schema per punti, ricordando che le definizioni di difformità su cui si basa l’applicazione dell’art. 36-bis sono l’art. 34 che contiene la definizione delle difformità parziali, ed il 32 che contiene quelle delle variazioni essenziali:

  • difformità parziali (art. 34) di cui è possibile accertare l’esecuzione in corso d’opera e che eccedono i confini delle tolleranze costruttive ma non sono così gravi da sconfinare nelle variazioni totali: possono intendersi come “mancate SCIA di variante” ai sensi dell’art. 22 comma 2-bis, dunque è logico che possano essere sanati mediante una SCIA;
  • difformità parziali (art. 34) di cui non è possibile accertare la risalenza all’epoca della costruzione del fabbricato o che è comunque acclarato che si tratti di opere realizzate successivamente alla originaria costruzione: possono essere classificate opere eseguite a sé stanti in assenza di titolo. in questo caso, si procede in SCIA art. 36-bis perché di fatto torna a coincidere con il primo punto del presente elenco, salvo che non sia lo specifico e puntuale caso di opere eseguite in assenza di CILA ed in tal caso si ritiene si possa depositare una CILA tardiva, dunque ai sensi dell’art. 6-bis e non del 36-bis. Attenzione: a parere di chi scrive, se le difformità sono invece risalenti alla originaria costruzione ed eseguite cioè come varianti, anche se si tratta di opere che, se fatte ex novo, potrebbero rientrare nell’alveo di competenza della CILA, nei fatti occorre comunque presentare una SCIA ai sensi dell’art. 36-bis;
  • mutamenti d’uso che non rientrano nelle casistiche delle variazioni essenziali (dunque senza incremento degli standard del DM 1444/68: attenzione, i “mutamenti non rilevanti” non sono la stessa cosa): SCIA art. 36-bis anche se astrattamente potrebbero ricadere anche nelle fattispecie di CILA tardiva, laddove puntualmente applicabile secondo quanto detto al punto precedente;
  • variazioni essenziali (art. 32) di cui è possibile accertare l’esecuzione in corso d’opera: l’art. 36-bis espressamente indica che tali difformità possono essere gestite all’interno della sua sfera di competenza e, trattandosi di opere che non potevano essere oggetto di SCIA in variante in corso d’opera (salvo verifica puntuale, ma si tratta di casi specifici e residuali), si ritiene debbano essere gestite attraverso il PdC in art. 36-bis (quindi con silenzio-assenso di 45gg), purché non siano opere che contestualmente o incidentalmente ricadono tra quelle di cui all’art. 10, nel qual caso è dovuta la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36, dunque al di fuori della giurisdizione dell’art. 36-bis.

Dunque si è detto che, semplificando, tutto ciò che non rientra nella sfera di competenza dell’art. 36-bis continua ad essere gestito attraverso la procedura dell’art. 36 che rimane più severa rispetto al 36-bis in quanto ancora contempla il concetto della doppia conformità “completa” (invece che conformità asimmetrica come introdotta dall’art. 36-bis) e meccanismo del silenzio-diniego (invece che silenzio-assenso espressamente introdotto dall’art. 36-bis per le procedure di sua competenza). Gli interventi che ricadono in art. 36 e per i quali risulta indifferente presentare istanza di permesso o SCIA alternativa (in quanto vi è comunque silenzio-rigetto) possono essere così semplificate:

  • variazioni essenziali (art. 32) che ricadono nelle definizioni dell’art. 10, ovvero opere soggette a permesso di costruire, come ad esempio i mutamenti d’uso rilevanti quando eseguiti su immobili che ricadono in zona territoriale omogenea di tipo A piuttosto che le variazioni di prospetto in area vincolata;
  • opere in generale eseguite dopo il completamento della costruzione e che avrebbero necessitato il rilascio preventivo di un permesso di costruire;
  • variazioni totali (art. 31) eseguite durante la costruzione, in quanto opere che avrebbero necessitato un nuovo permesso di costruire.

Modificato il diritto di scelta del titolo edilizio

Come ultima nota a margine, ma sempre nel tema, si può rilevare che, “incidentalmente”, è stata modificato anche un pregresso “diritto” di scelta del titolo edilizio: il Salva-Casa difatti va a modificare la formulazione dell’art. 37 comma 6, rendendo di fatto non più opzionabile la scelta di poter presentare comunque una istanza ai sensi dell’art. 36 pur in presenza di difformità o abusi che potevano essere gestiti con il precedente art. 37 comma 4.

La scelta in origine era coerente con quanto dispone tuttora l’art. 22 comma 7 circa il fatto che è possibile optare per la richiesta di permesso anche nel caso in cui si debbano porre in essere opere per le quali è sufficiente la SCIA, mentre invece per come formulato ora, il comma 6 dell’art. 37 fornisce solo un rimando generale all’art. 36-bis nel quale, tuttavia, non è prevista la possibilità di “scegliere” il titolo edilizio, come visto nella trattazione di questo articolo.

Probabilmente, il legislatore ha ritenuto che non vi fosse più materiale interesse a scegliere tra permesso in accertamento di conformità e SCIA se depositati in entrambi i casi ai sensi dell’art. 36-bis in quanto per entrambe vi è l’istituto del silenzio-assenso.

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