Nella rassegna sentenze di questa settimana parleremo di: competenza della progettazione di infrastrutture viarie che costituiscono interventi di urbanizzazione primaria; decrso nel tempo degli abusi edilizi; esonero degli oneri per ristrutturazione di edificio unifamiliare.
E ancora: condono e possibilità di trasformazione o completamento dell’immobile; abusi nella fascia di rispetto autostradale.
Infrastrutture viarie che costituiscono interventi di urbanizzazione primaria: a chi compete la progettazione?
TAR Lazio, Latina, sent. 25 maggio 2020 n. 170
Il progetto per la realizzazione di infrastrutture viarie che costituiscono interventi di urbanizzazione primaria rientra tra le competenze esclusive degli ingegneri e non fra quelle degli architetti
L’art. 51, r.d. n. 2537 del 1925, dispone che: “Sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto […]”; a mente del successivo art. 52, invece, “Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative”.
Sul punto, si osserva preliminarmente che è ancora attuale la ripartizione delle competenze tra architetti e ingegneri risultante dagli artt. 51 e 52, r.d. n. 2537 cit., che sono perciò tuttora applicabili (Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2019 n. 5012; sez. V, 21 novembre 2018 n. 6593; sez. VI, 15 marzo 2013 n. 1550; sez. IV, 5 giugno 2009 n. 4866).
Conseguentemente, il progetto per la realizzazione di infrastrutture viarie che non siano strettamente connesse a un fabbricato, perché poste a sua pertinenza, e che dunque costituiscano interventi di urbanizzazione primaria, rientra tra le competenze esclusive degli ingegneri, non essendo riconducibili alle “opere di edilizia civile” che formano oggetto tanto della professione di ingegnere, quanto di quella di architetto (Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2019 n. 5012; sez. IV, 22 maggio 2000 n. 2938; sez. V, 6 aprile 1998 n. 416; sez. IV, 19 febbraio 1990 n. 92; TAR Campania, Napoli, 20 febbraio 2017 n. 1023; TAR Lazio, Latina, sez. I, 12 luglio 2013 n. 608; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 31 maggio 2013 n. 1270).
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Abuso edilizio: decorso del tempo
TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 28 maggio 2020 n. 2069
Nel caso di abusi, i privati non possono reclamare alcuna posizione giuridica acquisita per effetto del decorso del tempo
Quanto, in particolare, al profilo temporale, i privati, non possono reclamare alcuna posizione giuridica acquisita per effetto del decorso del tempo. Si consideri che, per giurisprudenza consolidata, anche qualora sia intercorso un rilevante intervallo di tempo fra il momento della realizzazione dell’abuso e l’adozione dell’ordine di demolizione non può ritenersi sussistente uno stato di legittimo affidamento in capo al privato, pertanto l’Amministrazione non è tenuta ad uno specifico onere di motivazione (T.A.R. Napoli, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 516), in quanto non può ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può legittimare (T.A.R. Napoli, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 517; Id., 21 gennaio 2020, n. 277).
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Esonero oneri per ristrutturazione di un edificio unifamiliare
TAR Piemonte, sez. II, sent. 26 maggio 2020, n. 322
Niente esonero degli oneri concessori per la ristrutturazione di edifici unifamiliari nel caso di demo-ricostruzione di un immobile di 14 stanze
L’onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 16, d.P.R. n. 380/2001; Corte Costituzionale, 3/11/2016, n.231; 01/10/2003, n.303); le eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell’esenzione.
Tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall’obbligo contributivo contenute nell’art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull’ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b – secondo cui “il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari” – che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza, la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b) va rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare”, poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato (T.A.R. Veneto, sez. II, 05/03/2019, n.289; T.A.R. sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449; T.A.R. Toscana, Sez. III, 26 aprile 2017 n. 616, T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 22 giugno 2015 n. 1416, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 21 novembre 2014 n. 2180 e T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 2 luglio 2014 n. 1707).
D’altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall’intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all’aumento di valore che consegue all’intervento. Pertanto, si giustifica la sottrazione all’imposizione dell’aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare – stante il consistente numero di vani (14) – e della rilevanza dell’intervento, realizzato mediante demolizione e ricostruzione (cfr. T.A.R. Napoli, Campania sez. VIII, 09/05/2012, n.2136).
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente previsione di cui all’art. 9, lett. d) della legge 28.01.1977 n. 10 che – analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo “gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari“.
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all’ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell’integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell’edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell’esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
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Condono: si può trasformare o completare l’immobile?
TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 28 maggio 2020 n. 2062
La presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta
La giurisprudenza ha costantemente statuito che in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili nella loro oggettività alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35, l. n. 47 del 1985 (TAR Campania, sez. III, 17/12/2019 n. 5996; 12/7/2019 n. 3858).
Infine, la preesistenza di una domanda di condono non può essere utilizzata per legittimare attività edilizia nuova ed ulteriore rispetto a quella oggetto di richiesta di sanatoria.
Secondo concorde e condivisa giurisprudenza, la presentazione della domanda di condono non autorizza certamente l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, 25 gennaio 2013, n. 614). Qualora ciò dovesse accadere, il Comune non può pronunciarsi sulla domanda di condono ma è tenuto a sanzionare le opere con l’ordinanza di demolizione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3943). Pertanto, sui manufatti non condonati non è comunque consentita la realizzazione di interventi ulteriori che, finanche nelle ipotesi in cui siano riconducibili nella loro individuale oggettività a categorie che non richiedono il permesso di costruire, assumono le caratteristiche di illiceità dell’abuso principale.
Infatti, l’art. 35, comma 14, della legge n. 47 del 1985, regolante le modalità e le condizioni in base alle quali è consentito al presentatore dell’istanza di sanatoria di completare, sotto la propria responsabilità, le opere abusive oggetto della domanda, dimostra semmai che, in linea di principio, è tassativamente impedita la prosecuzione dei lavori e la modificazione dello stato dei luoghi, se non con l’osservanza delle cautele previste dalla legge, alle quali non risulta che la ricorrente si sia conformato.
Abusi nella fascia di rispetto autostradale: si possono sanare?
TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 27 maggio 2020 n. 5571
Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, non sono suscettibili di sanatoria e ciò indipendentemente dalle loro caratteristiche e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale, atteso che il suddetto vincolo opera direttamente e automaticamente
Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale, prevista al di fuori del perimetro del centro abitato dal D.M. Lavori Pubblici 1 aprile 1968, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non sono suscettibili di sanatoria e ciò indipendentemente dalle loro caratteristiche e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale atteso che il suddetto vincolo opera direttamente e automaticamente (T.A.R Lombardia, Brescia, Sez. I, 21 marzo 2011, n. 450; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II ,11 gennaio 2011, n. 24).
Il vincolo di cui al citato DM 1.04.1968, infatti, non può essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibilità di costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, in quanto è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni.
Pertanto, il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2010 n. 22422; Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2010 n. 2076).
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In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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