“1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
- L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 01, in caso di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo”.
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La norma in parola consente, in determinati casi, in luogo della demolizione, l’applicazione di una sanzione pecuniaria. Il legislatore, quindi, ha ritenuto opportuno conferire all’Amministrazione la possibilità di non procedere automaticamente all’applicazione delle normali sanzioni susseguenti all’accertamento dell’abuso (id est: la demolizione dell’opera), potendo essere conveniente mantenere l’opera realizzata e introitare una sanzione pecuniaria cospicua, quale appunto quella costituita dal valore venale delle opere abusive realizzate.
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Sanzione pecuniaria al posto della demolizione
La disposizione, in altri termini, apre alla seguente alternativa: o si dispone la demolizione (rimozione dei vizi/restituzione in pristino) o – qualora ciò non sia possibile, in base a motivata valutazione – si applica la sanzione pecuniaria.
Al riguardo, occorre precisare che per “opere o loro parti abusivamente eseguite” (al cui valore venale va rapportata la sanzione pecuniaria, ove applicata) deve intendersi non già l’intero fabbricato oggetto del titolo poi annullato (incluse le parti ab origine conformi alle previsioni di piano regolatore, le quali “divengono” abusive, in via sopravvenuta, solo a seguito dell’annullamento del titolo che le legittimava), ma solo quelle la cui realizzazione, ponendosi fin dall’inizio in contrasto con gli strumenti urbanistici, ha determinato l’annullamento del titolo.
Una diversa interpretazione, infatti, condurrebbe a risultati illogici, sproporzionati e contrari alla stessa ratio della disposizione de qua, volta a contemperare le esigenze della corretta pianificazione territoriale con la tutela dell’affidamento ingenerato nel privato beneficiario dei provvedimenti ampliativi.
La sanzione pecuniaria può trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui il vizio che ha dato vita all’annullamento non sia suscettibile di rimozione o di eliminazione attraverso la restituzione in pristino; conseguentemente, se vi è stata la demolizione, non rimane spazio per l’applicazione della (alternativa) sanzione pecuniaria.
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Permesso di costruire annullato dal giudice
Del resto, occorre aggiungere che quando un titolo edilizio viene annullato in sede giurisdizionale, resta in vita l’originaria istanza del privato, rispetto alla quale il Comune deve nuovamente provvedere, anche sulla base degli accertamenti contenuti nella decisione del Giudice (vedi, recentemente, TAR Sardegna, sez. I, sent. 30 agosto 2023, n. 635; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 15 giugno 2016, n. 2631, secondo cui “l’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire rende abusive le opere edilizie realizzate in base a quest’ultimo, di talché il Comune, stante l’efficacia conformativa di tal giudicato, ne deve dare esecuzione, adottando i provvedimenti consequenziali. Ma la serena lettura del medesimo art. 38, c. 1, ben lungi […] dal dover disporre la sola riduzione in pristino, suggerisce non per forza tale soluzione, ma anche una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto”, con richiamo anche a Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 12 maggio 2014 n. 2398; cfr. anche TAR Piemonte, sez. II, sent. 8 luglio 2014, n. 1171, secondo cui “in sede di ottemperanza al giudicato l’Amministrazione è tenuta, pertanto, non solo a uniformarsi alle indicazioni rese dal giudice, e a determinarsi secondo i limiti imposti dalla rilevanza sostanziale della posizione soggettiva azionata e consolidata in sentenza, ma anche a prendere in esame la situazione controversa nella sua complessiva estensione, valutando non soltanto i profili oggetto della decisione del giudice, ma pure quelli comunque rilevanti per provvedere definitivamente sull’oggetto della pretesa, all’evidente scopo di evitare ogni possibile elusione del giudicato”).
Ne consegue che il Comune, in esecuzione di una sentenza di annullamento di un permesso di costruire, deve valutare l’originaria istanza proposta dal privato per l’intervento costruttivo da realizzare – anche sulla scorta del giudicato formatosi sul precedente provvedimento – accertando ora per allora (sulla base, cioè, del regime urbanistico esistente al tempo del rilascio del titolo annullato) se e in quale misura sia possibile rimuovere i vizi procedurali censurati e, in caso positivo, reiterare il titolo abilitativo (cfr., TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, sent. 20 novembre 1999, n. 581 e Consiglio di Stato, sez. V, sent. 18 ottobre 1996, n. 1255, entrambe richiamate da TAR Sardegna, sez. I, sent. 30 agosto 2023, n. 635).
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