L’illegalità nella green economy

Lucia Navone 03/12/12

Che le energie rinnovabili fossero un buon business, con ritorni certi garantiti dallo Stato e per questo particolarmente attrattive per fondi di finanziamento, multinazionali e imprenditori dell’ultima ora, è ormai noto da tempo. Che invece, intorno a questo nuovo mercato, si muovesse e si fosse organizzato un vera e propria rete di insospettabili non necessariamente legati alla malavita organizzata, è un dato inedito che deve preoccupare.

Il boom delle energie pulite, almeno in Italia, è riuscito a far esplodere un nuovo fenomeno imprenditoriale che si occupa prevalentemente di sfruttare e intercettare le opportunità che un business (meglio se abbondatemente sussidiato e ben poco regolato) può offrire. Ma sia la malavita che i nuovi eco-criminali, nulla potrebbero senza l’aiuto della criminalità eco-finanziaria, abile nel muoversi a livello transazionale, soprattutto per riciclare denaro sporco.

Uno scenario raccontato più volte nel mio blog  e che emerge con evidenza dall’indagine Green Clean Market, curato dal RISSC, Centro Ricerche e Studi su Sicurezza e Criminalità e supportato da Transparency International Italia nell’ambito della Siemens Integrity Initiative.

Un’analisi impietosa di un sistema di corruzione che, come ben spiegato nel titolo dell’evento di presentazione della ricerca, “sottrae energie”. E le energie sottratte oggi non sono solo i megawatt che le famiglie italiane non potranno utilizzare (secondo l’indagine la corruzione ha consumato 2,5 milioni di megawatt pari al fabbisogno annuo di 800.000 famiglie) ma la bellezza di 900 milioni di euro, pari al reddito annuo di 27.000 famiglie italiane.

Una montagna di denaro sperperata a favore di un sistema che, nei prossimi anni, farà ancora discutere. Le indagini della Magistratura sono solo all’inizio e gli illeciti (dagli impianti cosidetti spezzatino, alla violazione di norme ambientali, fino alla truffa ai danni dello Stato) stanno riempiendo i fascicoli degli uffici delle Magistrature di tutta Italia, soprattutto nel Sud. Resta sempre il nodo di che fine faranno tutti gli impianti (e gli incentivi ad essi destinati) a cui verranno messi i sigilli una volta accertate le pratiche illegali. Non dimentichiamo che i pannelli da smaltire saranno un altro importante business a cui gli eco-criminali non vorranno rinunciare.

Non mancano però gli esempi virtuosi a cui la green economy italiana dovrebbe guardare e di questo – ed altro – ne ho parlato con Mara Mignone, criminologa e coordinatore scientifico del Rapporto “Green Clean Market”.

In Italia allora non esistono pratiche legalmente sostenibili?
Assolutamente no. Le abbiamo trovate, siamo andati ad analizzarle da vicino, abbiamo incontrato e intervistato chi le ha promosse. Purtroppo abbiamo dovuto selezionarne solo alcune ma non per questo le altre non sono meritevoli. Pensiamo ad esempio all’impianto eolico di Montecatini Val di Cecina, in provincia di Pisa, un esempio virtuoso di come un buon investimento pubblico e privato può solo far del bene all’ambiente e alle casse del Comune: meno CO2 e più soldi a disposizione per riqualificare il territorio. O di come, confiscando i terreni alla mafia, si può produrre energia pulita e creare nuove professionalità oppure diventare azionisti di una discarica che produce energia. E tanti altri.

Incertezze normative, mancanza di trasparenza e coordinamento da parte del Governo centrale, continuo cambio delle regole. Questi i problemi che lamentano gli imprenditori del settore ma per usare un eufemismo,”niente di nuovo sotto il sole italiano”. E allora che cosa contraddistingue i fenomeni criminali nella green economy rispetto ad altri? 

Ci troviamo di fronte a una situazione molto grave che se dovesse perdurare potrebbe portare ad un potenziale “condizionamento criminale” di tutto il settore delle energie rinnovabili, in particolare quelli più promettenti per il futuro, come le biomasse e la riqualificazione energetica di edifici pubblici e privati.

Uno dei dati preoccupanti, emersi dalla nostra indagine, è che l’attuale assetto normativo e sanzionatorio è debole così come lo sono gli strumenti investigativi e giudiziari. E’ necessario intervenire per anticipare il rischio di abusi in danno delle risorse economiche, sociali ed ambientali. Durante la stesura del nostro rapporto abbiamo constatato che anche imprese non necessariamente legate alle energie rinnovabili affidano a consulenti esterni la risoluzione dei problemi ambientali, senza preoccuparsi troppo del rispetto delle regole. In alcuni casi poi la risoluzione di questi problemi è così onerosa che preferiscono violare la norma, piuttosto che pagare.

Stiamo parlando di un sistema dove – alla fine – si è favorito solo la speculazione e dove il bene comune è stato messo da parte?
Fino ad oggi, almeno nella maggior parte dei casi da noi analizzati, possiamo dire di sì. Diversamente dagli obiettivi iniziali molte delle iniziative nel campo del fotovoltaico e dell’eolico si sono rivelate una mera forma di speculazione economica e finanziaria. I finanziamenti, gli incentivi e i certificati verdi sono stati un richiamo fortissimo per le multinazionali che ovviamente non si sono preoccupate dei ritorni per le comunità locali né tantomeno delle conseguenze per il paesaggio.

Un modus operandi che si ripeterà anche in futuro?
Secondo la nostra analisi si stanno aprendo nuovi preoccupanti scenari. Uno di questi sono sicuramente le biomasse da cui ci aspettiamo, nei prossimi mesi, l’esplodere di nuovi casi giudiziari. Ci preoccupa il fatto che pochi abbiano compreso la portata del fenomeno e che non ci sia informazione in tal senso. Di corruzione sentiamo parlare ogni giorno ma nel caso della green economy non dimentichiamo che ci stiamo giocando il futuro dei nostri figli.

Quali sono le vostre proposte per arginare il fenomeno e quali i prossimi passi?
Sappiamo che la criminalità economico organizzata segue il denaro, massimizzando i benefici e la riduzione dei rischi, privilegiando la dissimulazione del proprio operato attraverso attività e passaggi in apparenza leciti. In tal senso un settore economico così importante come la Green Economy, sostenuto da risorse pubbliche e capace di attirare investimenti ingenti, è particolarmente attraente. Serve allora un’inversione di marcia che sposti l’attenzione dalla dimensione economica a quella di bene comune e in questo, credo, un ruolo determinante lo può e lo deve avere la comunicazione.

Sulla questione legalità legata alla nuova economia verde fino ad oggi si è assistito ad un imbarazzante silenzio, salvo alcune importanti eccezioni (quale Legambiente, che è anche partner del progetto Green Clean Market).

Si è sempre guardato allo smaltimento illecito dei rifiuti o alle bonifiche illegali ma si sta aprendo un nuovo inquietante capitolo. Allo stato attuale quindi dobbiamo sperare che cresca almeno la consapevolezza sui doveri morali legati a questo nuovo promettente settore.

Da parte nostra continueremo l’analisi della vulnerabilità del sistema per tutto l’anno prossimo sperando di poter coinvolgere anche settori nuovi, strettamente correlati a quello delle energie rinnovabili, come ad esempio la mobilità elettrica

 

 

 

 

 

 

 

Lucia Navone

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