L’immobiliare dissanguato dal fisco. Un mostro vorace che ha trangugiato in maniera inopinata un’ampia fetta di ricchezza del settore. Con unanime volontà governativa, le tasse locali sugli immobili sono state fatte salire dai 9,2 miliardi del 2011 ai 25 del 2014, passando dai governi Monti, Letta e Renzi. Tutti hanno dato il loro contributo.
Potrebbero essere questi gli ipotetici titoli posti in testa allo studio effettuato da Confedilizia, l’associazione della proprietà immobiliare. La necessità di ridurre il peso fiscale sugli immobili non è solo questione di equità, spiega in controluce lo studio di Confedilizia, ma serve a evitare i riflessi che il carico fiscale genera sull’intera economia. Gli effetti sono noti: crollo delle compravendite, diminuzione delle ristrutturazioni, fallimento di molte imprese del settore, perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, caduta dei consumi generata dalla perdita di valore degli immobili (stimata in 2mila miliardi di euro). Ed è proprio dal fisco che è necessario ripartire per ricreare un ambiente di fiducia attorno al settore. L’idea di Confedilizia è la seguente: tassazione degli immobili esclusivamente per il reddito che essi producono e per i servizi che ricevono. La strategia giusta per conferire nuova inerzia al comparto immobiliare.
Sulla stessa linea d’onda si collocano le fresche dichiarazioni del presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici, il quale constata “una continua erosione dei margini di economicità per i risparmi investiti in immobili locati o utilizzati direttamente. C’è dunque il sospetto che la revisione allo studio, con la Local Tax che dovrebbe sostituire l’IMU, la TASI e possibilmente altri tributi locali per semplificare e razionalizzare il sistema, sia l’occasione per ritoccare in peggio la fiscalità immobiliare”.
“Certo – prosegue il numero uno di Assoedilizia spostandosi su un versante più prettamente costruttivo – una bella rimescolata di carte può servire a confondere le acque a questi fini. La vera riforma della Local Tax dovrebbe viceversa portare, più che all’accorpamento dei diversi tributi esistenti, alla revisione del presupposto impositivo. Le imposte locali sono destinate a finanziare i servizi comunali. E quindi debbono esser poste a carico non di chi possiede l’immobile, ma di colui che, occupando lo stesso, fruisce in pratica dei servizi stessi”.
“Questo meccanismo – conclude Colombo Clerici – consentirebbe anche una maggior corrispondenza del gettito del tributo all’entità del fabbisogno finanziario dei comuni. Così avviene all’estero, dove, ad esempio in Inghilterra con la Council Tax, si ottengono gettiti fiscali assai congruenti con la spesa pubblica”.
Le voci delle due importanti associazioni rappresentative della proprietà si allineano proprio nella settimana in cui si palesano (nella bozza del Def all’esame del Governo) le ipotesi su una revisione dello strumento impositivo che potrebbe condurre all’introduzione, a livello normativo, della possibilità, per Comuni e Città Metropolitane, di elevare ulteriormente le aliquote IMU e TASI per il 2016. Per ora sono ipotesi provvisorie, occorrerà attendere le prossime settimane per maggiori certezze: con l’auspicio di un cambio di rotta.
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