Crollo del ponte Francis Scott Key a Baltimora: il ruolo della robustezza

La  robustezza è la capacità della struttura di limitare i danni in caso di azioni eccezionali, quali esplosioni o urti. Ecco quali sono le misure che avrebbero potuto evitare il collasso

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Il drammatico crollo del ponte Francis Scott Key avvenuto a Baltimora la notte del 26 marzo scorso, a causa dell’impatto su un pilone di una nave cargo che viaggiava senza controllo per avaria tecnica, pone nuovamente l’attenzione (anche oltre oceano) sulla sicurezza delle infrastrutture esistenti.

In questo caso il collasso non è conseguenza di mancata manutenzione (il ponte era adeguatamente monitorato nel tempo), bensì di un mancato aggiornamento dell’analisi dei rischi secondo gli attuali standard di sicurezza. I quali, anche alla luce di incidenti analoghi già avvenuti su altri ponti, richiedono di prendere in considerazione anche la risposta strutturale ad un evento estremo.

Nel corso dei decenni le norme tecniche sono evolute verso un diverso e più severo concetto di sicurezza, sviluppato anche grazie all’interpretazione dei difetti connessi ai recenti crolli e aggiornato ad un livello di flusso di mezzi di trasporto indubbiamente superiore al periodo originario di progettazione.

Il ponte Francis Scott Key era stato progettato negli anni ’60 e inaugurato nel 1977, costruito a travata continua ad arco con struttura reticolare in acciaio. La parte centrale era composta da tre campate, con due serie di pilastri a mantenerle in sospensione. A quell’epoca la campata centrale di 366 metri di luce rappresentava la terza al mondo per lunghezza riferita a quella tipologia costruttiva.

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Valutazione della robustezza di sistemi strutturali e geotecnici

“Un testo che declina dettagliatamente un concetto che reputo alla base della progettazione strutturale” (Franco Bontempi).“Nel volume non ci si limita ad introdurre in modo semplice la problematica, ma si guida il lettore alla comprensione della risposta strutturale agli eventi inattesi attraverso esempi concreti” (Ivo Caliò)La robustezza di un sistema strutturale e geotecnico è intesa, sostanzialmente, come la capacità di prevenire o ridurre le conseguenze derivanti da un evento locale (eccezionale e/o estremo).Il testo, suddiviso in due parti distinte per un’agevole consultazione, affronta con piglio autorevole e approccio operativo il tema – ancora oggi poco conosciuto – della valutazione del comportamento strutturale attraverso gli indici di robustezza.Tra i molteplici aspetti trattati, il manuale analizza, in dettaglio, il fenomeno del collasso progressivo, le forme con cui può manifestarsi ed i relativi meccanismi di innesco e propagazione, proponendo, poi, esempi di interventi di retrofitting per ottimizzare la risposta strutturale.Inoltre, vengono riportati, in maniera esaustiva, numerose applicazioni numeriche per la stima degli indici di robustezza, con particolare riferimento alle strutture esistenti in c.a., murature e opere geotecniche.Tali casi studio, rappresentano utili strumenti operativi per lo strutturista che si occupa di tali tematiche.Matteo FelittiTitolare dello studio ENGINEERING & CONCRETE CONSULTING, si occupa principalmente di calcolo strutturale, dissesti statici nelle costruzioni esistenti, degrado dei materiali e risoluzione di contestazioni. Cultore di Scienza delle Costruzioni ICAR/08, docente Esterno di “Calcolo Automatico delle Strutture” presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II.Francesco OlivetoIngegnere specializzato nell’ambito strutturale e geotecnico. Collabora con Gruppo Sismica srl per la formazione e lo sviluppo di metodologie di calcolo di strutture in muratura e in c.a. in condizioni di danno pregresso e attuale ai fini della stima della capacità residua.Gli Autori, in collaborazione con STACEC Srl, hanno sviluppato e implementato, nel software FaTA Next, alcuni modelli di degrado per la valutazione degli indicatori di rischio su strutture in calcestruzzo armato con danno inglobato. Tale argomento sarà oggetto di una prossima pubblicazione.

Matteo Felitti, Francesco Oliveto | Maggioli Editore 2021

Indice

Crollo ponte Baltimora: l’importanza della robustezza

Uno dei requisiti richiesti dalle attuali norme tecniche è quello della robustezza, ossia della capacità della struttura di limitare i danni in caso di azioni eccezionali, quali esplosioni o urti. La sicurezza strutturale delle costruzioni si basa sul soddisfacimento delle verifiche nei confronti di diverse combinazioni di azioni di esercizio, quali permanenti, variabili e sismiche, riferite alla destinazione d’uso e alla vita nominale, con un livello di sicurezza dipendente dall’importanza della costruzione (in termini di affollamento e di danno economico).

Inoltre, alcune costruzioni di carattere strategico che rivestono una evidente importanza sull’incolumità pubblica, come ad esempio i ponti, devono altresì possedere una sufficiente capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità di azioni di carattere eccezionale (con bassa probabilità di accadimento), non comprese nelle abituali combinazioni dei carichi di esercizio, ma sufficienti a mettere in crisi la stabilità dell’intera infrastruttura con conseguenze devastanti in termini di vite umane e di impatto economico.

Nel caso del ponte Francis Scott Key, è stato sufficiente un urto localizzato, per quanto con un impatto potente se consideriamo la massa in movimento della nave cargo, a innescare un crollo repentino ad effetto domino causato dalla perdita di un appoggio.

Le misure che avrebbero potuto evitare il collasso

Oltre alle necessarie analisi di sicurezza nei confronti delle resistenze residue e nella pianificazione di adeguati piani di manutenzione strutturale, una delle criticità per le infrastrutture esistenti progettate decenni fa consiste nell’aggiornamento degli scenari di rischio non contemplati nell’originaria progettazione: maggior fatica a sostenere flussi di traffico più elevati, dissesti idrogeologici più frequenti per il cambiamento climatico, atti terroristici, urti accidentali solo per fare alcuni esempi.

Nel passato i criteri di progettazione non consideravano adeguatamente i concetti di robustezza strutturale; al contrario, le infrastrutture erano caratterizzate da una limitata ridondanza strutturale per ottimizzare i costi di costruzione. Erano strutture sicure dal punto di vista statico, ma con schemi strutturali di estrema fragilità qualora un evento eccezionale avesse coinvolto anche solo un elemento portante della struttura. Per cui non deve stupire se sia sufficiente che venga meno un appoggio per far crollare in pochi secondi l’intera struttura.

Nel caso del ponte Francis Scott Key sarebbe stato utile, per esempio, prevedere delle barriere da posizionarsi attorno ai pilastri per contrastare eventuali urti delle navi o ridurre gli effetti dell’impatto accidentale, che tra l’altro non risulta essere poi così raro nella storia dei collassi dei ponti, aumentando il livello di ridondanza strutturale.

Uno dei metodi è altresì prevedere la compartimentazione, cioè la segmentazione di zone tra loro non collegate strutturalmente, per evitare che un danno localizzato coinvolga l’intera struttura proprio come è accaduto al ponte Francis Scott Key.

I principi base per una corretta concezione strutturale

Il concetto di robustezza è oramai stato introdotto nella quasi totalità delle normative tecniche nazionali ed internazionali, fornendo criteri di progettazione e di dimensionamento di tipo prescrittivo.

Nel panorama normativo italiano, le CNR-FT 214/2018 Istruzioni per la valutazione della robustezza delle costruzioni costituiscono un valido supporto tecnico nell’analisi della robustezza «a partire dalla definizione delle azioni eccezionali da considerare come possibili scenari di progetto, alle strategie per la riduzione del rischio, alle modalità di funzionamento della struttura che deve mettere in campo tutte le possibili riserve di resistenza prima del collasso, in campo non lineare per geometria e per materiale.»

In particolare, sono illustrati i seguenti principi di base di una corretta concezione strutturale per limitare il rischio di collasso sproporzionato:

  • il metodo della resistenza locale per evitare il danneggiamento locale degli elementi il cui collasso porterebbe ad una propagazione incontrollata del danno;
  • il metodo basato sull’individuazione di percorsi alternativi dei carichi affinché la struttura sia in grado di ridistribuire i carichi portati dagli elementi collassati in seguito al danneggiamento locale agli elementi strutturali integri;
  • il metodo basato sulla compartimentazione, che ha lo scopo di limitare l’estensione del collasso sproporzionato dovuto ad un collasso locale isolando la parte strutturale collassata dalla struttura rimanente.

Alessandro Grazzini

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