A dieci giorni dall’ormai nota Ordinanza della Protezione Civile n. 2 del 2 giugno 2012 e da meno di una settimana dal decreto legge ad essa collegato (n. 74 del 6 giugno 2012), che avrebbe dovuto far chiarezza sul tema dell’agibilità sismica, la Certificazione di Agibilità Sismica (C.A.S.) rimane invece un rompicapo dai contorni ancora poco chiari.
In effetti molto si è discusso in questi giorni sugli organi di informazione e in ambienti accademici e professionali su quale forma e significato debba assumere, ma ad oggi l’unica riflessione che si può fare è che, nata sotto l’impeto della gestione dell’emergenza, potrebbe addirittura ritorcersi contro lo scopo per cui era evidentemente stata pensata: velocizzare la ripresa delle attività produttive nel rispetto della sicurezza degli occupanti.
In questo breve excursus vogliamo allora ripartire da un documento, divenuto anch’esso piuttosto famoso in questi giorni: la cosiddetta scheda AeDES (Agibilità e Danno nell’Emergenza Sismica) predisposta dalla Protezione Civile, un prestampato in forma tabellare che permette di esprimere, attraverso una valutazione speditiva del rilevamento del danno, un giudizio di agibilità per edifici ordinari nell’emergenza post-sismica.
Nel documento accompagnatorio per la compilazione delle schede AeDES sono presenti molti spunti che possono gettare un po’ di luce, e a dire il vero anche molti dubbi, sulla (futura?) Certificazione di Agibilità Sismica (C.A.S.); in particolare nel testo si dedica uno specifico paragrafo al concetto di giudizio di agibilità: “La valutazione di agibilità in emergenza post-sismica è una valutazione temporanea e speditiva – vale a dire formulata sulla base di un giudizio esperto e condotta in tempi limitati, in base alla semplice analisi visiva ed alla raccolta di informazioni facilmente accessibili – volta a stabilire se, in presenza di una crisi sismica in atto, gli edifici colpiti dal terremoto possano essere utilizzati restando ragionevolmente protetta la vita umana.
Tale definizione presuppone la conoscenza della massima intensità che può verificarsi al sito nel corso della crisi sismica, e cioè dell’evento di riferimento rispetto al quale formulare il giudizio di agibilità. Mentre nel progetto di una struttura nuova è la norma che fissa l’azione sismica di riferimento, nel giudizio di agibilità l’evento di riferimento non è stato, ad oggi, codificato;(…) nel quadro dell’attuale politica di gestione dell’emergenza, l’evento di riferimento non è stato esplicitamente definito, né è stato stabilito l’ente preposto a fornire, per ogni località, tale evento.
Le procedure utilizzate in altri Paesi ad alta sismicità, per esempio California e Grecia, indicano chiaramente che l’evento di riferimento per la dichiarazione di agibilità è paragonabile a quello della scossa che ha motivato le ispezioni. In questo modo l’analisi del solo danno prodotto dal sisma può essere il principale, se non l’unico, indicatore di sicurezza, in quanto evidenza di una più o meno importante modificazione di uno stato già “collaudato” dal sisma“
Ed ancora, si legge (sul tema stavolta delle responsabilità per il rilascio dell’agibilità): “In tale ambito organizzativo dovrebbe essere anche definita la responsabilità, dal punto di vista etico e giuridico, del rilevatore. In termini generali la definizione delle responsabilità giuridiche cui l’operatore va incontro assumendosi, normalmente in forma volontaristica, il grave compito di decidere della agibilità, e dunque del normale uso, di un edificio potenzialmente soggetto a scosse sismiche nel breve periodo, rappresenta uno dei fattori cruciali del successo di una corretta gestione post-evento (leggi anche Terremoto Emilia, la responsabilità per l’agibilità dei fabbricati).
È evidente che le responsabilità da attribuire all’operatore non debbano, innanzitutto, andare al di là delle proprie competenze tecniche, che sono quelle professionali di operatori nel campo edilizio (ingegneri, architetti, geometri, periti edili). Non è dunque pensabile che l’operatore stabilisca l’evento o gli eventi di riferimento in un quadro sismico in rapida evoluzione, compito peraltro di per sé difficile anche per sismologi esperti del settore. È altresì evidente come l’assunzione di responsabilità da parte di operatori volontari non può che limitarsi ad un corretto svolgimento delle indagini ed all’emissione del conseguente giudizio di agibilità basato sulla sua professionalità. È anche evidente che la responsabilità del rilevatore debba essere limitata nel tempo, in quanto legata ad uno stato di emergenza che termina nel momento della successiva ricostruzione. Minore infine sarà la responsabilità, in quanto il giudizio meno certo, se al rilevatore si chiede di prevedere, alla luce dello stato di danno e della vulnerabilità dell’edificio, il comportamento della costruzione in relazione a possibili scosse di intensità notevolmente superiore a quella risentita; (…) la responsabilità del rilevatore non può che comprendere solo ciò che è connesso alla malafede o alla negligenza nell’espletamento del proprio ruolo.
Questa posizione è espressamente contemplata dalle leggi dello stato della California (USA) secondo le quali i tecnici volontari (disaster service workers) vengono considerati temporaneamente come lavoratori di protezione civile non compensati. Come tali fruiscono delle stesse immunità degli ufficiali ed impiegati statali e ricevono gli eventuali rimborsi per gli infortuni sul lavoro previsti dalla legge statale.
I tecnici valutano la sicurezza delle strutture danneggiate usando al meglio il loro giudizio professionale. In accordo alle leggi dello stato nessun disaster service worker operante per ordine di autorità riconosciuta durante lo stato di emergenza è perseguibile civilmente a causa di danni a cose o persone o morte di qualcuno, conseguenti ad un suo atto o omissione commesso durante il servizio, a meno che il fatto sia intenzionale. La situazione in Italia è alquanto diversa: la legislazione riguardante i sopralluoghi di agibilità in condizioni di emergenza post-sismica è del tutto carente e la giurisprudenza è particolarmente penalizzante nei confronti del rilevatore”.
I due aspetti appena rimarcati, definizione dell’evento di riferimento e responsabilità del rilevatore, offrono qualche spunto di riflessione se confrontati col decreto legge n.74/2012; infatti dalle poche informazioni che trapelano da esso (art. 3 commi 7-8) si apprende che (in breve): la certificazione di agibilità sismica (per l’attività produttiva) deve essere rilasciata da un professionista abilitato, a seguito di verifica di sicurezza effettuata ai sensi delle norme tecniche vigenti (cap. 8 – costruzioni esistenti, del decreto ministeriale 14 gennaio 2008); la certificazione potrà essere rilasciata in via provvisoria, valutando l’assenza di: mancanza di collegamenti tra elementi strutturali verticali e elementi strutturali orizzontali e tra questi ultimi; presenza di elementi di tamponatura prefabbricati non adeguatamente ancorati alle strutture principali; presenza di scaffalature non controventate portanti materiali pesanti che possano, nel loro collasso, coinvolgere la struttura principale causandone il danneggiamento ed il collasso.
La verifica di sicurezza (finalizzata al rilascio della Certificazione di Agibilità Sismica definitiva) dovrà essere effettuata entro l’8 dicembre 2012. Infine, se eventualmente richiesti per il conseguimento del miglioramento sismico, gli interventi dovranno essere eseguiti entro l’8 giugno 2014.
Alcuni interrogativi
Dalla lettura dei due documenti sorgono allora alcuni interrogativi: se, giustamente, si è ritenuto necessario sottoporre le costruzioni presenti nel territorio coinvolto dal sisma ad un giudizio così rigoroso come la verifica di sicurezza per edifici esistenti (ai sensi NTC 2008), perché si ammette contemporaneamente anche il rilascio di una versione provvisoria sulla base di sopralluoghi “visivi”, che indubbiamente è più prossima al giudizio di agibilità tipico delle schede AeDES, con tutte le incertezze in esso insite e viste in precedenza?
Viceversa se si ritiene perfettamente valido ed equivalente questo approccio di “certificazione provvisoria” quali sono i margini di sicurezza visto che (nel caso AeDES, ma potrebbe divenire per similitudine anche col rilascio della Certificazione di Agibilità Sismica) non è chiaro l’evento di riferimento a cui riferirsi?
Del resto se si ritiene di poter valutare l’agibilità sismica dall’individuazione di alcune macroscopiche mancanze non solo strutturali (come la non corretta installazione degli scaffali), senza peraltro correlarle ad una conoscenza più ampia della struttura (intesa come caratterizzazione dei materiali, del suolo, della distribuzione dei carichi, del comportamento globale) cosa potrebbe avvenire su quegli stessi capannoni magari dichiarati agibili “provvisoriamente” e sottoposti ad un nuovo “collaudo” da altri tipi di carico: quali ad esempio la neve nel prossimo inverno?
Se inoltre si attribuisce alla Certificazione di Agibilità Sismica “provvisoria” una dignità di valutazione di “vulnerabilità semplificata”, ovvero se si ritiene la “certificazione provvisoria” un metodo ugualmente valido in termini di sicurezza (se così non fosse si ammetterebbe implicitamente di poter esporre gli occupanti a sei mesi di possibili rischi, in attesa della certificazione definitiva, in nome dell’urgenza), sicuramente più rapido e di conseguenza forse anche più economico, perché non estenderlo a tutte le attività produttive presenti sul territorio nazionale, potendo così prevenire conseguenze, in caso di sisma, tanto drammatiche quanto scontate?
Forse la strada più percorribile sarebbe allora quella di lasciare l’onere del rilascio della Certificazione di Agibilità Sismica alle squadre ordinariamente preposte da parte della Protezione civile, così come già è stabilito per l’agibilità post-sisma (scheda AeDES), ed invece richiedere fermamente una certificazione di agibilità sismica definitiva più opportunamente e “professionalmente” meditata (anche in sostituzione o integrazione dell’ordinario collaudo statico) entro i prossimi sei mesi: così facendo, senza perdere rigore ed evitando di ingenerare confusione, sarebbe possibile concentrare risorse economiche e professionali su un risultato più corretto e certo, magari rispolverando anche un tanto dibattuto e ugualmente dimenticato Fascicolo del Fabbricato che potrebbe, in certi casi, spingere verso una razionalizzazione ed ingegnerizzazione della gestione del costruito anziché scaricare, una tantum, sul “professionista abilitato” la responsabilità di una certificazione “ad occhi chiusi” che non ha eguali in nessun altro ambito professionale: quale medico vorrebbe esprimere un giudizio su un malato, per quanto grave, senza alcuna analisi conoscitiva? O sarebbe ammissibile che un giudice emettesse una sentenza, “provvisoria”, senza leggere gli atti di causa, in nome dell’urgenza?
… Ah già, ma dimenticavo …l’Italia è il Paese delle emergenze!
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