Ante ’67 nel Salva-Casa e possibile impatto sull’edilizia

Pare che tra le proposte emendative vi sia quella di introdurre una soglia temporale, individuata nella data di pubblicazione della Legge Bucalossi, prima della quale potrebbero aprirsi delle ulteriori specifiche possibilità di sanatoria

Marco Campagna 11/06/24
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Con il decreto Salva-Casa D.L. 29 maggio 2024 n°69 abbiamo assistito all’introduzione di una serie di novità all’interno del testo unico dell’edilizia; queste novità, anche se per alcuni versi non hanno una completa organicità, nel loro complesso vanno a modificare l’approccio tecnico riguardo al mondo dell’edilizia, in quanto incidono in modo più o meno diretto sullo stato legittimo, sulle tolleranze costruttive e sulla possibilità di ottenere un accertamento di conformità in caso di difformità riscontrate.

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Le novità del Salva-Casa in vigore

Senz’altro le innovazioni non sono di poco conto: come già commentato su questo portale, l’ampliamento del ventaglio delle tolleranze costruttive (dal 2% “fisso” di prima, all’attuale soglia differenziata in funzione della dimensione dell’unità immobiliare che può arrivare fino al 5%) già oggi consente un migliore margine operativo quando si opera su edifici esistenti, e l’introduzione dell’art. 36 bis DPR 380/01, dedicato all’accertamento di conformità di difformità parziali, che prende il posto dell’accertamento che prima si faceva ai sensi dell’art. 37 DPR 380/01, porta con se novità importanti che il legislatore ha introdotto probabilmente in risposta ad una serie di interpretazioni giuridiche derivate dall’assetto normativo previgente che ponevano limitazioni operative non di poco conto: ad esempio, oggi con il 36 bis è possibile contare sul silenzio-assenso in caso di accertamento di conformità (l’art. 37 previgente non era affatto chiaro sul punto) e soprattutto sulla possibilità di ottenere uno stato legittimo a fronte dell’esecuzione di delle (modeste) opere edilizie o strutturali per portare l’immobile in uno stato “sanabile”: fino a prima dell’approvazione del decreto questa operazione era di fatto preclusa dall’interpretazione giurisprudenziale, tecnicamente ineccepibile, relativa al fatto che l’immobile può essere sanato solo nello stato in cui si trova, senza possibilità di ammettere l’esecuzione di opere finalizzate alla sua conformazione, con la conseguenza di “congelare” degli immobili che, magari per colpa di modeste difformità (anche teoricamente solo una camera che non rispetta i rapporti aeroilluminanti), erano condannati a rimanere nel loro stato illegittimo a meno di non eseguire nuove opere (abusive) di conformazione per poter quindi conseguire l’accertamento.

Peraltro proprio il tema della possibilità di eseguire opere per conseguire l’accertamento di conformità sembra essere uno dei temi dove l’esecutivo vuole intervenire ulteriormente in sede di conversione in legge, forse ampliando o definendo meglio l’entità delle opere che possono essere ammesse; a parere di chi scrive, invero, sarebbe preferibile che fosse il tecnico privato a progettare le opere necessarie e rappresentarle direttamente nel progetto da allegare all’istanza, lasciando al comune solo l’onere di validare quelle opere oppure, solo in caso di inopportunità o insufficienza delle stesse, di imporre al tecnico di proporne altre.
 
Dunque già oggi le novità non mancano, novità che hanno ampliato la sfera operativa dell’accertamento di conformità, ma, inevitabilmente, rimangono ancora aperte ancora una ampia serie di fattispecie dove l’accertamento di conformità rimane complesso. Forse per questo già si parla di ulteriori modifiche in sede di conversione in legge del decreto, atte a consentire un ampliamento delle possibilità o introduzione di nuove specifiche semplificazioni procedurali per aumentare i casi in cui le unità immobiliari possono essere ritenute legittime già nel loro stato rilevato o consentirne la sanabilità.

Ante ’67 (o ’77): cosa potrebbe cambiare con il Salva-Casa

In tale ottica, sembra che tra le proposte vi sia quella di introdurre una soglia temporale, individuata nella data di pubblicazione della Legge Bucalossi (L. 28 gennaio 1977 n°10, in vigore dal giorno successivo), prima della quale potrebbero aprirsi delle ulteriori specifiche possibilità di sanatoria; tra i documenti pubblicati dall’esecutivo non ci sono molti dettagli di questa proposta, ma potrebbe trattarsi di possibili introduzioni di meccanismi specifici e dedicati di sanatoria, come ad esempio una procedura di fiscalizzazione dell’abuso con espressa possibilità di conseguire uno stato legittimo pagando la relativa sanzione, oppure un ulteriore ampliamento del margine di tolleranza (ma non sembra questa la prospettiva).

Ad ogni modo, da quel poco che si riesce a intuire dalle parole dei promotori degli emendamenti, sembra escludersi l’ipotesi che si tratta di una proposta per introdurre un “colpo di spugna” generalizzato di tutte le difformità eseguite entro una certa data: una ipotesi di questo tipo è contenuta nelle bozze di nuovo Testo unico sulle Costruzioni di cui si parlò qualche anno fa dopo la pubblicazione della bozza ufficiale, dove era contenuta una indicazione normativa secondo cui qualunque cosa fosse successa prima del 1 settembre 1967 non sarebbe più stato considerato abuso.

Chi scrive ha sempre ritenuto troppo “forte” una presa di posizione di questo tipo, in quanto anzitutto creerebbe uno spartiacque, anzi una voragine, tra chi può dimostrare di aver edificato prima di quella data e chi no e, soprattutto, appiattirebbe completamente ogni possibile verifica nel merito della sicurezza e della conformità igienico-sanitaria delle difformità rilevate, cosa che, invece, deve porre le necessarie attenzioni. L’intento del governo sembra dunque quello di aumentare la sanabilità del pregresso prima di una certa data, che sia il gennaio 1977 o il settembre 1967, introducendo maglie più larghe ma pur sempre sotto la vigilanza di un tecnico e dell’amministrazione; come detto, appare che tale strumento possa essere una specifica fattispecie di fiscalizzazione dell’abuso, cosa che consentirebbe questa possibilità senza stravolgere l’attuale struttura normativa.

Riformulazione delle regole igienico-sanitarie in vista

Qualche parola si può spendere per le novità che attendono le regole igienico-sanitarie che pure sembrano essere giustamente oggetto di attenzione da parte dei promotori degli emendamenti. Appare che si voglia proporre un abbassamento della superficie minima degli alloggi residenziali, dagli attuali 28mq minimi per l’alloggio per una persona e 38mq per due persone, ai futuri possibili 20mq e 28mq rispettivamente, nonché all’abbassamento dell’altezza utile interna minima abitabile per gli alloggi residenziali dagli attuali 2,70 metri ai futuri possibili 2,40.

I limiti attuali sono imposti dal Decreto Sanità del 1975, che rappresenta un baluardo delle norme igienico-sanitarie in quanto ha posto dei riferimenti che per l’epoca erano da un lato innovativi ma dall’altro molto vincolanti: ad esempio, prima del 1975, le altezze utili minime interne erano generalmente più alte, ma non vi era uniformità a livello nazionale su quale fosse detto limite (a Roma per esempio il limite imposto dal regolamento edilizio per le altezze interne era di 3 metri minimo per i primi quattro piani fuori terra, e 2,80 per i piani superiori), dunque l’aver introdotto un limite unico di 2,70 (ridotto a 2,55 per i comuni montani, per finalità di risparmio energetico) è stata sicuramente una innovazione importante.

Va detto che le regole igienico-sanitarie nel corso del tempo sono sempre andate via via geometricamente riducendosi: nelle istruzioni ministeriali del 1896 ad esempio era fissata l’altezza minima di 4 metri per i locali al piano terra e 3 metri per i piani superiori, ed erano imposte delle cubature minime di aria respirabile per ciascun abitante di una casa: l’obiettivo era quello di imporre la realizzazione di alloggi le cui caratteristiche strutturali impedissero, o quantomeno riducessero al massimo, la creazione di situazioni insalubri dove potevano facilmente attecchire malattie ed epidemie. Non si dimentichi che l’ottocento è stato il secolo delle grandi epidemie che hanno fatto capire l’importanza della pianificazione urbanistica, delle distanze minime tra costruzioni, della ventilazione ed illuminazione degli ambienti.

Probabilmente per via dell’evoluzione nel tempo della Scienza Medica, i limiti geometrici ottocenteschi sono nel tempo diventati meno essenziali per garantire l’igiene pubblica, dunque è probabilmente per questo che nel 1975 si decise di introdurre dei limiti geometrici meno stringenti (i 2,70 imposti dal decreto sanità sono meno dei 3 metri delle istruzioni del 1896): non è probabilmente errato che, dopo ulteriori cinquanta anni dopo il 1975, si possa pensare di abbassare ulteriormente questi limiti, posto che l’esigenza igienico-sanitaria, che è assolutamente primaria nel nostro Stato, non sia l’unico interesse pubblico che deve essere tutelato dalle norme urbanistiche: esiste anche l’esigenza di consentire che gli immobili possano essere convertiti ad usi diversi anche senza apportare modifiche radicali, ciò anche nell’ottica del contenimento del consumo di suolo.

Dunque introdurre limiti igienico-sanitari più bassi può portare ad una migliore flessibilità dell’utilizzo del panorama immobiliare italiano: e tale scelta è stata già fatta nel 2021 quando con il secondo decreto semplificazioni furono introdotte delle regole geometriche particolarmente di favore per gli immobili oggetto di vincolo diretto imposto ai sensi dell’art. 10 del Codice dei Beni Culturali (in particolare, il D.L. 77/2021 ha introdotto il comma 2 bis all’art. 10 del D.L. 76/2020 consentendo che in tali immobili l’altezza utile abitabile sia ridotta a 2,40 mt – 2,20 per i bagni – e che gli ambienti possano essere illuminati con una finestra il cui rapporto illuminante sia di 1/16 invece dell’1/8 standard): ciò per dire che la strada, in qualche modo, era già stata aperta.
 
Le modifiche potranno facilitare in qualche caso la conversione in abitativo di locali
che attualmente non hanno i requisiti di abitabilità e l’intenzione dell’esecutivo sembra essere quella di rendere così più facilmente convertibili gli immobili nei piccoli centri urbani.

Certificati di agibilità su immobili non conformi al progetto

Ultima nota di questo articolo è dedicata alla specifica fattispecie dei certificati di agibilità rilasciati da parte dei comuni, su immobili che non erano conformi al progetto. Questa particolare casistica non è introdotta per caso: diverse sentenze nel tempo hanno affrontato il tema di fabbricati per i quali era stato rilasciato dal comune il certificato di agibilità a seguito della verifica, da parte degli ufficiali del comune, dell’avvenuto completamento della costruzione. Fino a qualche decennio fa, difatti, l’agibilità si otteneva solo a valle dell’ispezione del cantiere da parte dei funzionali del comune i quali controllavano che la costruzione fosse effettivamente completata e ne controllavano principalmente gli aspetti igienici, ovvero avvenuta prosciugatura delle pareti e completamento delle finiture interne: il ruolo dell’agibilità, difatti, è quello di attestare che l’immobile è pronto per essere abitato e che quindi le persone possono iniziare ad utilizzare gli ambienti per viverci.

Tuttavia, l’agibilità è sempre stata collegata alla conformità edilizia, nel senso che senza conformità non può esserci agibilità: è tuttavia capitato in passato che fabbricati costruiti in modo difforme dal titolo edilizio avessero comunque il certificato di agibilità, e ciò è sempre risultato un controsenso in quanto se vi erano delle difformità, il certificato non avrebbe potuto essere rilasciato. Diverse sono le sentenze che indicano che pure in presenza di una agibilità rilasciata, dato che è il titolo edilizio che determina lo stato legittimo, si parla comunque di difformità da sanare e, anzi, si potrebbe insinuare l’illegittimità dell’agibilità rilasciata, in quanto sarebbe basata su un presupposto non veritiero.

Il governo sembra voler intervenire su questa specifica fattispecie dando effetto “sanante” alle agibilità rilasciate, purché nel certificato o nel verbale di sopralluogo sia specificato che il fabbricato è stato eseguito con difformità rispetto al progetto. L’eventuale introduzione di questa procedura senz’altro aiuterà alcune specifiche situazioni e andrà nel verso di aumentare la tutela del legittimo affidamento del privato il quale, vedendo che il comune ha rilasciato un certificato, da per scontato che tutto sia “in regola”; per altro verso, però, probabilmente genererà ulteriore disorientamento in quanto nei rapporti interni dei comuni difficilmente sono specificate quali sono le esatte difformità rispetto al progetto e ciò può comportare l’assunzione di importanti responsabilità da parte del tecnico privato che sarà chiamato ad “interpretare” le carte amministrative indicando a quali difformità la dicitura farebbe riferimento; a parere di chi scrive, sarebbe preferibile introdurre semplicemente una procedura facilitata di sanatoria nel caso in cui sia presente l’agibilità, invece di inserire un “colpo di spugna” di difficile interpretazione: non resta che attendere l’esito del dibattito parlamentare e analizzare il testo che ne uscirà.

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