Molto si è scritto e detto a (s)proposito delle innovazioni apportate dal Salva Casa (D.L. 69/2024 – L. 105/2024). Da ultimo, il Consiglio Nazionale del Notariato ha chiarito numerosi aspetti in cinque dettagliati Studi di cui si è dato conto in questo articolo e in questo articolo e, in particolare, nel n. 9/2025 della Rivista L’Ufficio Tecnico.
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Indice
Suggeriamo:
Le Verifiche di conformità per la commercializzazione degli immobili
La III edizione di questo volume rappresenta un riferimento essenziale per tutti i professionisti del settore immobiliare, tecnico e legale, offrendo un quadro completo e aggiornato sulla verifica di conformità degli immobili. Grazie all’integrazione delle recentissime Linee Guida ministeriali e ai criteri di interpretazione del Decreto Salva Casa, l’opera fornisce strumenti operativi chiari e approfonditi per affrontare con rigore la regolarizzazione edilizia, urbanistica e catastale, essenziale per la due diligence immobiliare. L’opera è quindi uno strumento indispensabile per avvocati, notai, tecnici e agenti immobiliari che desiderano orientarsi con sicurezza nel complesso panorama della conformità edilizia. Attraverso un linguaggio tecnico ma accessibile, l’Autore analizza con competenza normativa e giurisprudenza, fornendo un supporto concreto agli operatori del settore nella valutazione della trasferibilità dei beni, nell’accertamento della legittimità delle preesistenze e nella gestione delle irregolarità edilizie sanabili. Andrea FerrutiAvvocato del Foro di Roma, opera da più di 30 anni prestando la propria consulenza a soggetti pubblici e privati, in stretto raccordo con le professionalità tecniche coinvolte. In tali ambiti, l’Autore ha maturato una particolare conoscenza del diritto amministrativo e immobiliare in vista dello sviluppo e riqualificazione di patrimoni, oltre che della relativa normativa tecnica e di sicurezza sul lavoro. È autore di pubblicazioni per Maggioli Editore e docente in corsi di formazione.
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L’art. 24, Testo Unico Edilizia
Ricordo, in sintesi, che con i commi 5-bis, 5-ter introdotti dal Salva Casa nell’art. 24, Testo Unico Edilizia è stata riconosciuta la possibilità per il tecnico progettista di asseverare, a determinate condizioni, la conformità del progetto ai limitati fini dell’agibilità nei seguenti casi: locali con un’altezza minima interna inferiore a 2,70 metri, fino al limite massimo di 2,40 metri; alloggio mono-stanza, per una persona, con una superficie minima, comprensiva di servizi, inferiore a 28 mq, fino al limite massimo di 20 mq, per due persone, inferiore a 38 mq, fino al limite massimo di 28 mq.
Il comma 7-bis dell’art. 24 stabilisce poi che la segnalazione certificata può essere presentata anche in assenza di lavori al fine di richiedere l’agibilità per immobili legittimamente realizzati che ne siano privi, così da agevolare la circolazione dei beni immobili e, di conseguenza, facilitare la (ri)qualificazione del patrimonio edilizio.
Avevo poi precisato, in un quaderno di Ediltecnico dedicato alla due diligence, che il nuovo testo dell’art. 24 attiene alle condizioni per presentare la segnalazione certificata di agibilità per determinati locali e non certo costituisce una sorta di sanatoria ope legis di opere realizzate abusivamente con dette caratteristiche dimensionali (in assenza o in parziale o totale difformità dal titolo edilizio).
Tali indicazioni avevano poi trovato autorevole conferma nello Studio CNN n.40-2025/P, da me analizzato nel contributo indicato nell’introduzione, che si era così espresso: “È, quindi, di tutta evidenza che la norma non rappresenta in alcun modo una sanatoria di opere realizzate abusivamente con dette caratteristiche dimensionali in assenza o in difformità dal titolo edilizio”.
La posizione dei giudici amministrativi
In tale quadro si inseriscono, a pieno titolo, i chiarimenti forniti dalla sentenza del Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 25 agosto 2025, n. 2861 (qui allegata per pronta consultazione), che forniscono utili spunti per gli operatori del settore.
La necessità di un’interlocuzione puntuale con la P.A.
La vicenda portata all’attenzione del giudice amministrativo di primo grado riguardava il diniego opposto da un Comune per l’applicazione dell’art. 24, commi 5 bis e 5 ter del D.P.R. n. 380/2001, posto che le opere oggetto di SCIA, ad avviso del Comune, non sarebbero risultate “idonee a garantire un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie di locali già destinati ad abitazione, trattandosi di intervento consistente nel cambio di destinazione d’uso con trasformazione di locali accessori adibiti a sgombero/cantina in locali a destinazione residenziale. Pertanto, non sarebbe stata ammissibile la riduzione complessiva dell’altezza interna a 2,50 metri anche per locali con permanenza di persone, dovendosi, in questo caso, rispettare i prescritti requisiti igienico sanitari. Da qui la necessità non solo di revisionare gli elaborati di progetto, ma anche di corredare il fascicolo della necessaria verifica circa la sussistenza dei rapporti di aero-illuminazione dei locali oggetto dell’intervento edilizio”.
A fronte di tale richiesta comunale, gli interessati avevano sì integrato gli elaborati grafici ma avevano ribadito – senza aggiungervi nulla, a quanto si legge nella sentenza – che le opere relative al progetto in questione sarebbero risultati “conformi alle condizioni previste dal citato comma 5 bis e 5 Ter del DPR 380/01”. Da qui, il successivo rigetto della SCIA giudicato legittimo dal Tar Lombardia.
L’ambito di applicazione dell’agibilità: vale solo per fabbricati residenziali?
Sotto questo diverso profilo, che attiene alla perimetrazione dell’agibilità semplificata, la sentenza del Tar Lombardia non prende posizione nel merito.
In particolare, a fronte della posizione espressa dal Comune, secondo cui l’ambito di applicazione dell’agibilità semplificata, introdotta dal Salva-Casa, “è limitato solo ai «locali esistenti già ad uso abitazione», mentre nel caso di specie, trattandosi di un intervento di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso da locali accessori di sgombero/cantina ad abitazione, sarebbe stato necessario rispettare i requisiti igienico sanitari previsti dal D.M. 05.07.1975”, i giudici si sono limitati a dichiarare inammissibile il motivo di ricorso per mancata impugnazione del provvedimento comunale nei termini.
Salvo che la sentenza sia impugnata al Consiglio di Stato, circostanza ovviamente non pronosticabile, non sembrerebbe esclusa la possibilità che altri giudici accolgano l’opinione dei privati. Questi ultimi, infatti, avevano sostenuto nel ricorso come “l’ambito di applicazione delle previsioni sopra menzionate dovrebbe invece necessariamente includere anche gli edifici e/o i locali non residenziali – a fronte della crescente domanda di spazi abitativi accessibili – con la conseguente possibilità di trasformare i medesimi in abitazioni, dovendosi così evitare ogni interpretazione «tendenzialmente restrittiva» della nuova normativa”.
Conclusioni
La peculiarità della fattispecie, che ha portato i giudici amministrativi alla compensazione delle spese del giudizio di primo grado di cui si è dato conto, permette agli operatori del settore di trarre alcuni insegnamenti.
In primo luogo, anche se sotto un profilo prettamente giuridico, occorre valutare se richieste di integrazione formulate da un Comune nell’ambito del procedimento edilizio costituiscano o no un provvedimento lesivo della posizione dei privati. Ovviamente, intraprendere un contenzioso amministrativo comporta dei costi, ma nel caso specifico la mancata impugnazione di atti comunali nei termini previsti dalla legge ha determinato il rigetto del ricorso.
In secondo luogo, se l’interpretazione restrittiva che limita la recuperabilità dei locali dovesse trovare credito in altre posizioni giurisprudenziali, anche questa parte del Salva-Casa sarebbe destinata a restare lettera morta, come evidenziato per altri aspetti al termine dell’approfondimento pubblicato nel n. 9 della Rivista L’Ufficio Tecnico.
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