Edilizia acrobatica: nuova alternativa o vecchio rischio?

Edilizia acrobatica significa lavorazioni verticali eseguite su fune da esperti che mettono a disposizione dell’edilizia classica la loro competenza specifica

Da qualche anno, può accadere sempre più frequentemente di avvistare cantieri edili all’interno dei quali, dalle pareti dell’edificio, “pendono” tre o più operatori impegnati in quelle comuni attività di manutenzione, di imbiancatura o di riparazione delle grondaie per le quali, in genere, siamo abituati a vedere un ponteggio, un cestello o ancora una piattaforma elevabile. Attorno a queste scene spesso si creano gruppi di curiosi che osservano questi “uomini-ragno” muoversi agilmente in quota e si chiedono un po’ perplessi quanto possa essere rischioso ciò che gli si presenta davanti.

Edilizia acrobatica: ecco cos’è

Questo genere di attività, che si sta diffondendo lungo tutto il territorio nazionale, viene sovente denominata “edilizia acrobatica” ma, in sostanza, si tratta di lavorazioni eseguite da esperti e qualificati operatori su fune che mettono a disposizione dell’edilizia “classica” la loro competenza specifica, realizzando quelle che vengono definite “lavorazioni verticali”.

A seguito dell’espansione di questa attività, un numero crescente di tecnici del settore (progettisti, D.L. o Coordinatori per la Sicurezza) si ritrova dinnanzi a proposte progettuali e/o preventivi per lavorazioni “comuni” da svolgersi mediante l’ausilio di sistemi di accesso e posizionamento su funi. Tali proposte sono spesso fortemente caldeggiate dai committenti anche in virtù del fatto che questi preventivi sono talvolta più convenienti dal punto di vista economico, della durata complessiva dei lavori o per il limitato impatto visivo rispetto ad un ponteggio.

Edilizia acrobatica: le criticità secondo l’81/2008

I tecnici interpellati da questi committenti sono sempre dubbiosi sulla fattibilità di queste lavorazioni e appaiono spesso preoccupati per un eventuale controllo da parte degli organi di vigilanza, che possa comportare fastidiose conseguenze anche di carattere sanzionatorio. In effetti, a voler ben guardare l’attuale impianto legislativo, la specifica norma di riferimento – art.111 del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii., che al comma 1 recita : “Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:
a) priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
b) dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.”

Al comma 4 la situazione non è diversa: “Il datore di lavoro dispone affinché siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare. Lo stesso datore di lavoro prevede l’impiego di un sedile munito di appositi accessori in funzione dell’esito della valutazione dei rischi ed, in particolare, della durata dei lavori e dei vincoli di carattere ergonomico”.

E così al comma 6: “Il datore di lavoro nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è eseguito previa adozione di tali misure. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati”.

In termini più concreti, la norma sembra non ammettere eccezioni: utilizzare sempre dispositivi di protezione collettiva ed affidarsi a sistemi su fune solo in casi residuali.

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Edilizia acrobatica e valutazione del rischio

A questo punto appare importante fare una serie di riflessioni. A partire dal recepimento delle numerose direttive comunitarie degli anni ’90 che hanno portato all’emanazione del famoso d.lgs. n.626/94 (“la 626”), l’approccio filosofico alla sicurezza sul lavoro è radicalmente cambiato. Si è passati da un sistema “protezionistico” (del lavoratore) basato su regole e procedure ferree e incontestabili, ad un vero e proprio sistema “prevenzionistico” basato essenzialmente su un concetto cardine: la valutazione del rischio.

L’intera struttura della normativa è infatti impostata su precise figure di garanzia (datore di lavoro, dirigenti, preposti, imprese, committente, coordinatori, etc.) tutte con un’unica ben precisa obbligazione (che tra l’altro “viene” da molto lontano ovvero dall’art.2087 del c.c.): “valutare il rischio” o meglio valutare a quali rischi potrebbero essere esposti i lavoratori, cercando di eliminarli o per lo meno di ridurne al minimo le potenziali conseguenze.

Ciascun soggetto obbligato, perciò, procede a fare le proprie valutazioni e in funzione di queste, stabilisce se e quanto il lavoratore risulti esposto a un rischio, senza che poi, generalmente, vi siano vincoli restrittivi alle conseguenti “scelte” di tipo prevenzionistico (a meno poi di risponderne per errata valutazione laddove per esempio si verifichi un infortunio).

Per le ragioni appena descritte appare stridente che, in controtendenza, il Titolo IV, capo II, contenga il citato art.111 che non sembra lasciare spazio alla “libertà” di valutazione del rischio ed anzi, dopo averne fatto un breve cenno (“(..) a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza”) finisce poi con l’obbligare il datore di lavoro a dare priorità esclusiva ai dpc (“priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale”).

Il sistema di accesso con le funi: com’è qualificato?

Un altro elemento di dibattito verte nella sottile linea di confine che potrebbe esserci nel considerare “il sistema di accesso e posizionamento con funi” solo e sempre come dispositivo di protezione individuale. Lo stesso art.111, a più riprese, lo qualifica come “attrezzatura di lavoro”, ma se tale è, la scelta circa il suo utilizzo (come sancito all’interno del Titolo III) rientra nelle esclusive valutazioni (del rischio) del datore di lavoro il quale, ovviamente, è obbligato dalla norma a fornire al lavoratore che impiega l’attrezzatura la più adeguata formazione, informazione e addestramento, oltre che tutte le garanzie possibili in termini di sicurezza sul lavoro (adeguata e specifica sorveglianza sanitaria, presenza di squadre e procedure per la gestione delle emergenze, etc.).

Edilizia acrobatica e formula della valutazione del rischio

Altro elemento di confronto è la famosissima “formuletta” classica di valutazione del rischio (R = P x D) che esprime il valore di rischio come prodotto tra il fattore P che è la probabilità che si verifichi l’evento dannoso preso in esame e il fattore D che è il danno massimo ipotizzabile che lo stesso evento può causare.

Nella realtà, i due fattori presi in considerazione (spesso troppo banalmente) sono funzione di una molteplicità di variabili e in particolare la c.d. probabilità dell’evento è funzione dei tempi e delle modalità di esposizione del lavoratore al rischio, della qualità della sua formazione ed addestramento e, perché no, dell’incidenza statistica degli infortuni.

In altri termini: se la suddetta formuletta venisse “esplosa” in un algoritmo maggiormente affinato, si potrebbe scoprire – anche e specialmente a livello internazionale – che determinate attività svolte mediante sistemi con funi sono molto meno rischiose del dover prevedere l’allestimento e il successivo smontaggio di un apprestamento.

Edilizia acrobatica: nel resto d’Europa sono più coraggiosi

In ultimo (e rinviando a più dettagliate pubblicazioni sull’argomento), preme rilevare che la c.d. “edilizia acrobatica” vede una forte espansione e una più serena accettazione su tutto il territorio europeo: Spagna, Francia, Germania e Svezia, partendo dalle loro rispettive norme, hanno addirittura costituito un’associazione internazionale (EPCRA – European Professional Certification for Rope Access) con lo scopo di regolamentare e certificare le procedure e le caratteristiche per il lavoro in verticale, armonizzando le competenze dei tecnici che si occupano di questa modalità operativa.

Sotto questo aspetto, l’Italia è purtroppo rimasta indietro anche in virtù del fatto che non si è mai dato seguito alla “delega” contenuta all’art.27 del Testo Unico per gli effetti del quale si sarebbe dovuto creare un “Sistema di qualificazione delle Imprese” attraverso cui stabilire criteri virtuosi di verifica sull’idoneità e sulle specificità delle imprese (“..sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati.. nonchè sull’applicazione di determinati standard..”).

Tale sistema consentirebbe di regolamentare al meglio un settore, come quello dell’edilizia, dove troppo spesso si verificano fenomeni di dumping sociale oltre ad un numero sempre crescente di infortuni legati all’impreparazione del lavoratore. La delega per la definizione di questi criteri è purtroppo ferma dal 2009 al tavolo della Conferenza Stato-Regioni.

Cosa manca all’Italia?

Per concludere, sono assolutamente convinto che ci sia la necessità di creare opportune regole che ci consentano di armonizzarci con il mercato europeo, adottando lo spirito pionieristico che caratterizza i paesi oggi più competitivi, rivoluzionando e modulando in maniera più dinamica il concetto di valutazione del rischio, adottabile anche per il caso del lavoro verticale su fune il quale, se svolto da personale specializzato e formato, non rappresenta certamente un’anomalia.

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Danilo De Filippo

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