Demolizione senza ombra di dubbio, senza motivazione particolare e a prescindere del tempo trascorso tra la realizzazione dell’abuso e l’adozione dell’ordinanza di demolizione. Questo nel caso esaminato dal Consiglio di Stato che vede un’opera realizzata munita di certificato di agibilità, ma concretamente poi eseguita difformemente dal progetto approvato.
Il Consiglio ha spiegato che «Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità) non preclude agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell’oblazione per il caso di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa funzione, ossia garantisce che l’edificio sia idoneo ad essere utilizzato per le destinazioni ammissibili».
Cos’altro c’è nella sentenza? Vediamolo in dettaglio.
Abuso edilizio: se l’opera è agibile ma difforme dal progetto va demolita
Il Comune di Giulianova aveva ordinato la demolizione di opere abusive, il «mutamento di destinazione d’uso del piano terra da garage a locale commerciale, maggiore altezza anche dell’intero fabbricato da 15 a 17,20 m., variazione di quote e dei distacchi dai confini, diversa distribuzione degli spazi interni», che erano state denunciate in quanto eseguite su un immobile in zona vincolata paesaggisticamente.
Il Tar Abruzzo-L’Aquila aveva inizialmente accolto il ricorso proposto contro il provvedimento, ma il Consiglio di Stato si è poi pronunciato ribaltando l’intero atto.
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Ecco il caso in dettaglio
I proprietari dell’opera processata avevano chiesto l’annullamento dell’ordine di demolizione per la mancanza di valida motivazione, ponendo alla base delle loro dichiarazioni che la costruzione, realizzata nel 1966 in base a licenza edilizia, aveva visto i lavori ultimati nel 1969 «con parziale modificazione degli originali elaborati di progetto» e anche la certificazione di abilità attestava «la conformità tra il realizzato e l’assentito».
Dal 1969 quindi nessuno si era più fatto vivo. I proprietari per questo erano quasi sicuri di potersi affidare «sulla legittimità dell’opera realizzata, indotta dal comportamento dell’amministrazione incompatibile con la persistenza in capo al responsabile dell’obbligo di rimozione dell’abuso ».
Cosa ha deciso il Consiglio di Stato?
Il Tar si era pronunciato affermando che l’Ente locale avrebbe dovuto «verificare l’esistenza della buona fede degli interessati [e] fornire una specifica motivazione sull’interesse pubblico al ripristino […], considerato che la conformità era stata esplicitamente attestata nel procedimento di rilascio della licenza di agibilità».
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Ma il Consiglio di Stato non ha confermato quanto definito dal Tar, in quanto il permesso di costruire e il certificato di agibilità sono cose ben diverse tra loro, il primo finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche, il secondo invece con la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti.
Pertanto il rilascio del certificato di agibilità non preclude all’Ente l’opportunità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell’oblazione in caso di sanatoria, neanche se l’immobile è accatastato.
Non c’è nemmeno obbligo di motivare l’ordinanza di demolizione adottata a distanza di anni dall’abuso.
Infine il Consiglio di Stato dichiara che «costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».
>> Scarica la sentenza del Consiglio di Stato
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