SCIA edilizia e poteri inibitori del Comune: il termine di 30 giorni è perentorio

Trascorso il termine di 30 giorni, l’amministrazione può intervenire solo in autotutela motivando l’interesse pubblico prevalente. La SCIA condizionata, invece, è inefficace finché non vengono acquisite le autorizzazioni preventive, come chiarito con una recente sentenza.

Mario Petrulli 15/10/25

Come noto, l’art. 19, terzo comma, della legge n. 241 del 1990 attribuisce all’amministrazione, cui sia stata presentata una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), un termine di 60 giorni per intervenire ed inibire lo svolgimento dell’attività segnalata, mentre il comma 6-bis dimezza tale termine, riducendolo a 30 giorni nel caso della SCIA edilizia (tale ultimo comma si pone in linea con l’art. 23, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale dispone la che la SCIA edilizia deve essere presentata al comune almeno 30 giorni prima dell’inizio lavori).

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Donato Palombella, Maria Palombella | Maggioli Editore

La motivazione alla base delle decisioni assunte

L’esercizio di questo potere (denominato potere inibitorio puro) non richiede una motivazione particolare, dovendo l’amministrazione limitarsi ad esplicitare le ragioni per le quali ritiene sussistente un contrasto fra la SCIA e la vigente normativa. Il termine di 30 giorni è posto, quindi, a tutela dell’affidamento del segnalante ed ha perciò carattere perentorio.

Successivamente allo scadere del termine di 30 giorni nel caso della SCIA edilizia, l’amministrazione può ancora intervenire per inibire la prosecuzione dell’attività segnalata ritenuta illegittima, esercitando però un diverso potere, assimilabile al potere di autotutela previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, del quale condivide i presupposti. In questo caso pertanto, la stessa amministrazione, nella motivazione dell’atto, non può limitarsi a dar conto del contrasto fra l’attività segnalata e la vigente normativa ma, dopo aver compiuto una comparazione fra interesse pubblico e interesse privato, deve illustrare le superiori ragioni di interesse pubblico, diverse da quelle alla mera inibizione dell’attività ritenuta illegittima, che la inducono ad intervenire.

Il caso della SCIA condizionata

L’art. 23-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina l’ipotesi di SCIA condizionata all’ottenimento di autorizzazioni preliminari. Il secondo comma di questo articolo dispone che, in caso di presentazione di SCIA condizionata, l’interessato può dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione dei necessari atti di assenso preventivi.

In mancanza dell’atto di autorizzazione preventiva, la SCIA condizionata è inefficace, con conseguente non applicabilità del termine di decadenza fissato in trenta giorni entro cui l’amministrazione dovrebbe esercitare il potere inibitorio attribuitole dalla legge. Pertanto, se il privato dà corso ai lavori in assenza di autorizzazione preventiva, l’attività deve qualificarsi come abusiva e l’amministrazione può intervenire in qualsiasi momento ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990[1].

Al contrario, dal momento di rilascio dell’autorizzazione preventiva, la SCIA condizionata acquista efficacia e, da questo momento, l’amministrazione può intervenire con il potere inibitorio entro i 30 giorni[2] o con il potere di annullamento entro i 12 mesi.

Un caso specifico

La sent. 3 ottobre 2025, n. 3063, del TAR Lombardia, Milano, sez. II, ha affrontato un caso concreto interessante. Nello specifico, l’interessato aveva depositato, in data 23 gennaio 2023, una SCIA edilizia condizionata al rilascio di atti di assenso preventivo, ossia il parere dei Vigili del Fuoco e il parere della commissione paesaggio. Tali atti venivano rilasciati, rispettivamente, in data 28 aprile 2023 e in data 26 ottobre 2023 e in tale ultima data la suddetta SCIA aveva acquistato efficacia, con la conseguenza che, da quel giorno, l’ufficio tecnico avrebbe potuto esercitare l’inibitoria nei 30 giorni successivi oppure l’annullamento nei 12 mesi successivi.

Successivamente al deposito originario, l’interessato aveva presentato:

  • in data 31 gennaio 2024, un progetto integrativo/sostitutivo finalizzato a recepire le indicazioni contenute nel parere favorevole nel frattempo rilasciato dalla commissione paesaggio;
  • in data 18 luglio 2024, un nuovo progetto integrativo/sostitutivo, questa volta finalizzato a recepire i rilievi contenuti nel preavviso di rigetto inoltrato dal Comune in data 20 giugno 2024.

Con provvedimento del 16 settembre 2024, il Comune aveva comunicato la conclusione negativa del procedimento riguardante la SCIA, inibendo quindi definitivamente la realizzazione dell’intervento. Considerando la data finale del 18 luglio 2024 e prendendo atto che l’inibitoria era stata adottata in data 16 settembre 2024, appare evidente la tardività di tale provvedimento, essendo stato adottato oltre il termine di 30 giorni previsto dall’art. 19, comma 6-bis, della Legge n. 241/1990.

Il provvedimento adottabile, invece, rimaneva quello dell’annullamento, per il quale il termine è di 12 mesi[3], dando atto della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

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Note

[1] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 30 ottobre 2024, n. 866; sent. 28 ottobre 2024, n. 8591; TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 30 dicembre 2024, n.1452.
[2]La giurisprudenza interpreta il suindicato disposto normativo in modo rigoroso, nel senso che il decorso del termine di trenta giorni per l’esercizio del potere interdittivo circa i lavori oggetto di SCIA comporta la definitiva consumazione del potere stesso e il consolidamento della situazione soggettiva del segnalante, residuando, in capo all’Amministrazione, a fronte di un’attività intrapresa al di fuori del perimetro normativamente consentito, il solo potere di autotutela, da esercitarsi nel rispetto dei presupposti di legge”: TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 28 luglio 2025, n. 724
[3]Il limite temporale dei 12 mesi per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio trova applicazione se il comportamento del privato, durante il procedimento di formazione dell’atto di primo grado, non abbia indotto l’Amministrazione in errore, “distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge”. In caso contrario, ovvero quando l’Amministrazione si sia erroneamente determinata a rilasciare il provvedimento, a causa anche del comportamento del privato, non trova applicazione il limite temporale di cui al comma 1 dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990, non potendo l’ordinamento tollerare “lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata” (cfr., Cons. Stato, Sez. II, 22 novembre 2021 n. 7817; Sez. IV, 17 maggio 2019 n. 3192).
Ne consegue, dunque, che il superamento del termine di 12 mesi per l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio è ammissibile, a prescindere dall’accertamento penale di natura processuale, quando il soggetto abbia rappresentato all’Amministrazione uno stato preesistente diverso da quello reale o abbia omesso di prospettare delle circostanze rilevanti”: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 4 agosto 2025, n. 6891.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

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Mario Petrulli

Avvocato (www.studiolegalepetrulli.it), esperto nelle materie dell’edilizia, dell’urbanistica, degli appalti, del diritto degli Enti Locali e del diritto bancario.
Collabora da anni con società di consulenza e formazione agli Enti Locali, case editrici, riviste tecnic…Continua a leggere

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