Il CTU è a tutti gli effetti un conciliatore

Il CTU deve offrire alle parti conoscenza delle procedure e ambiti di confronto. Ma è fondamentale il suo ruolo di conciliatore.

Paolo Frediani 06/12/19

Uno dei principali compiti che la prassi in uso negli uffici giudiziari ha riconosciuto al CTU, superando alcune limitazioni normative, è quello di conciliatore. Da molto tempo prima che nell’ordinamento trovassero riconoscimento sistemi alternativi della giustizia, il CTU ha sempre rappresentato un possibile fattore compositivo della lite in ragione dei suoi principi di terzietà e competenza.

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Il CTU e la conciliazione: parte sostanziale dell’incarico

Lo stesso legislatore, in verità tardivamente, ha riconosciuto questo potere: con la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, art. 696 – bis cod. proc.civ. entrata in vigore nel 2006, è stato attribuito, per la prima volta in modo cosi definito, il ruolo di conciliatore al CTU.

Di questo riconoscimento è invece sprovvisto l’ambito del processo di cognizione, dove la conciliazione opera limitatamente alle previsioni dell’articolo 198 c.p.c. (esame contabile). Tuttavia da tempo i magistrati affidano regolarmente al consulente il compito di conciliare la lite inserendolo nel quesito. Il riconoscimento, pur non superando le limitazioni normative, è una sollecitazione al consulente affinché ricerchi una strada diversa in termini di convenienza e interessi in modo che le parti possano considerare di cessare la causa.

Il CTU deve perciò considerare il compito come parte sostanziale dell’incarico dedicandovi tempo e attenzione, giacché l’operare il tentativo di conciliazione tra soggetti impegnati in una causa giudiziaria è ben diverso dal farlo tra coloro che sono ancora liberi da tale vincolo; le fasi d’intervento del CTU presentano particolari complessità, principalmente quelle connesse alla comunicazione tra le parti che risente fortemente delle dinamiche conflittuali.

Occorre per il CTU comprendere che l’obiettivo primario (tutt’altro che scontato) sarà quello di far passare le parti dall’ordine imposto a quello negoziato. Lo scopo sarà raggiunto se i confliggenti avranno abbandonato le posture delle procedure avversariali a vantaggio di quelle non avversariali. Infatti le parti, contrapponendosi nella sede giurisdizionale (l’ordine imposto), demandano la propria volontà a un terzo che deciderà sulla base delle norme.

Nell’ordine negoziato invece le parti devono confrontarsi in termini cooperativi cercando in piena autonomia, grazie al potere dispositivo che solo queste possono avere, una soluzione basata sugli interessi piuttosto che sui diritti; gli approcci sono totalmente diversi e se vogliamo contrapposti: si tratta di delineare per le parti regole comportamentali per il futuro piuttosto che stabilire e decidere su condotte del passato.

CTU: non imporsi ma inviduare la soluzione giusta

D’altra parte, è inutile nascondere che la stessa nozione di conciliazione è ancora largamente sconosciuta ai più: l’idea comune è che sia compito del CTU individuare una soluzione “giusta” e convincere (in certi casi imporre) gli interessati sulla soluzione prescelta.

Invece è precipuo compito del consulente individuare non una soluzione “giusta” – questo è compito del giudice o dell’arbitro – quanto una soluzione “conveniente” per le parti. E ciò è possibile solo se dal piano dei diritti si passa al piano degli interessi, a questi sottostanti ovvero – e ciò lo può fare esclusivamente il consulente – dalle posizioni (le pretese della lite) agli interessi (i motivi della lite).

E in tal senso è determinante l’indirizzo e l’impronta che il CTU saprà dare all’esperimento nella ricerca non di un vincitore e di un vinto ma di un accordo reciprocamente soddisfacente per le parti unica condizione che ne determinerà la validità, il rispetto e la durata.

CTU: in conclusione, quali sono i suoi compiti?

Da queste poche regole si comprende benissimo come l’opera del consulente debba essere tesa a supportare le parti offrendo conoscenze delle procedure, tempo per maturare consapevolezza ed accettazione del mutamento di scenario e dei più efficaci ambiti di confronto per giungere al risultato. D’altra parte, pur non avendo una propria struttura rituale, il tentativo di conciliazione nel corso di una consulenza tecnica deve rispondere a requisiti di funzionalità, efficacia e trasparenza; ed è il consulente ad essere garante di ciò.

È necessario dunque che il consulente sia competente in materia di comunicazione umana, negoziazione, gestione del conflitto. I tempi sono maturi affinché nell’albo dei consulenti si inserisca la specializzazione di “conciliatore” per consentire al giudice – quando ve ne sia la necessità –  la scelta del soggetto più idoneo a svolgere questa delicata funzione. Ma anche che il legislatore recepisca in un provvedimento normativo le prassi consolidatisi oramai in tutti i tribunali italiani, con l’emanazione di una norma dedicata che consenta, da un lato, un riconoscimento completo del ruolo di conciliatore per il CTU e, dall’altro, delle tutele a garanzia degli accordi raggiunti in quell’ambito dalle parti.

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