Ecco la selezione delle sentenze pubblicate la scorsa settimana; gli argomenti oggetto delle pronunce sono: trasformazione in locale abitabile e sanabilità di un garage interrato; fascia di rispetto cimiteriale: riduzione per edifici privati e ammissibilità; sul permesso di costruire: diniego – motivazione, volturazione – formalità necessaria, decadenza – effetto automatico del decorso temporale. Infine, motivazione e comunicazione di avvio del procedimento della variante urbanistica generale.
Garage interrato: trasformazione in locale abitabile
– Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Milano, sent. 20 febbraio 2018 n. 483
– Massima: Non è sanabile la trasformazione di un garage interrato, realizzato in base alla c.d. Legge Tognoli, in un locale abitabile.
Per giurisprudenza pacifica, non è sanabile la trasformazione di un garage interrato, realizzato in base alla L. 24.3.1989 n. 122, e quindi gravato ope legis del vincolo di destinazione espressamente previsto dall’art. 9 della stessa legge (C.S. Sez. V, 24.4.2009, n. 2609), in un locale abitabile, non potendo infatti la stessa ritenersi urbanisticamente irrilevante.
Solo qualora un cambio di destinazione d’uso abbia luogo tra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire, mentre allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome, così come avviene tra locali accessori e vani ad uso residenziale, ciò integra una modificazione edilizia, con effetti incidenti sul carico urbanistico (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 4.4.2017, n. 4225).
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Fascia di rispetto cimiteriale: riduzione per edifici privati, ammissibilità
– Estremi della sentenza: TAR Marche, sez. I, sent. 19 febbraio 2018, n. 125
– Massima: La riduzione della fascia di rispetto cimiteriale eccezionalmente è ammissibile anche per edifici privati e non solo per quelli pubblici
L’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa ritiene, in via di principio, che la deroga indicata nl quesito sia applicabile solo per interventi di interesse pubblico (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 13 dicembre 2017, n. 5873).
Tuttavia, alcune pronunce non escludono che possano esistere situazioni particolari che, in virtù della loro inidoneità ad interferire con le esigenze di tutela cui la fascia di rispetto è preordinata, potrebbero legittimare la deroga “una tantum” anche in favore di interventi di edilizia privata: per esempio, ciò potrebbe avvenire nei casi in cui la particolare conformazione dei luoghi impedirebbe l’utilizzo della fascia per un eventuale ampliamento futuro del cimitero.
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Permesso di costruire: diniego e motivazione
– Estremi della sentenza: TAR Veneto, sez. II, sent. 21 febbraio 2018 n. 205
– Massima: Il diniego del permesso di costruire necessita di una circostanziata motivazione, esplicativa delle reali ragioni impeditive, da individuarsi nel contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche, esplicitamente indicate e deve, quindi, evidenziare compiutamente e in modo intelligibile le ragioni per le quali sussiste la ritenuta difformità urbanistica
Come è noto, il diniego di concessione edilizia, comportando una contrazione dello “ius aedificandi”, necessita di una circostanziata motivazione, esplicativa delle reali ragioni impeditive, da individuarsi nel contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche, esplicitamente indicate e deve, quindi, evidenziare compiutamente ed in modo intelligibile le ragioni per le quali sussiste la ritenuta difformità urbanistica (ex pluribus cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4243; id. 19 novembre 2007, n. 14088).
In questo senso, è stato infatti osservato che deve ritenersi del tutto insufficiente l’allegazione di una generica contrarietà allo strumento urbanistico, in quanto il Comune è tenuto ad indicare le norme specifiche rispetto alle quali il progetto prescritto dal richiedente sia contrastante (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 18 aprile 988, n. 234).
Permesso di costruire: volturazione e formalità necessaria
– Estremi della sentenza: TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 19 febbraio 2018 n. 1064
– Massima: Necessario l’intervento delle formalità di volturazione in favore dell’acquirente perché il titolo edilizio possa esplicare effetti anche nei confronti di quest’ultimo e legittimare la sua attività edilizia
Secondo la giurisprudenza, è necessario l’intervento delle formalità di volturazione in favore dell’acquirente perché il titolo edilizio possa esplicare effetti anche nei confronti di quest’ultimo e legittimare la sua attività edilizia.
Invero, in caso di vendita del suolo o del fabbricato su cui è stato ottenuto un permesso di costruire, occorre espletare un apposito procedimento affinché il titolo sia utilizzabile dal nuovo proprietario, poiché l’autorizzazione amministrativa, pur inerendo alla res, è sempre ad personam, e l’autorità comunale ha il potere-dovere di accertare la sussistenza dei presupposti perché la stessa sia trasferita a persona diversa, non essendo l’effetto pubblicistico ricollegabile automaticamente al contratto privatistico di compravendita; ne consegue che, in mancanza di voltura, le opere poste in essere dall’acquirente, quand’anche conformi al titolo autorizzatorio originario, devono intendersi realizzate in assenza di permesso di costruire e soggiacere, pertanto, alla sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (cfr. Consiglio di Stato, atti norm., 1° agosto 2012, n. 2659; TAR Sicilia Catania, Sez. I, 12 ottobre 2010 n. 4104).
Permesso di costruire: decadenza ed effetto automatico del decorso temporale
– Estremi della sentenza: TAR Marche, sez. I, sent. 19 febbraio 2018 n. 126
– Massima: La decadenza del permesso di costruire si verifica automaticamente allo scadere dell’anno dal rilascio senza che i lavori siano stati iniziati e l’eventuale proroga va necessariamente richiesta prima della scadenza dello stesso
L’art. 15, comma 2, del DPR n. 380 del 2001 stabilisce che “Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore a un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
La norma è chiara nel prevedere che la decadenza del titolo si verifica automaticamente allo scadere dell’anno dal rilascio senza che i lavori siano stati iniziati e che l’eventuale proroga va necessariamente richiesta prima della scadenza dello stesso. Ciò è confermato anche dal tenore del comma 3 della medesima disposizione, secondo cui “la realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione”.
Sulla portata applicativa delle disposizioni innanzi citate la giurisprudenza ha chiarito che il termine per l’inizio dei lavori edilizi non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo e, decorso tale termine, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita; la suddetta decadenza non solo costituisce una conseguenza automatica del trascorrere del tempo, ma ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue ex lege al presupposto legislativamente indicato.
Il provvedimento che l’accerta ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, per l’infruttuoso decorso del termine prefissato dalla legge (T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 7 febbraio 2017, n. 140). Esso è un provvedimento strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) e ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso di costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione. Specularmente, la proroga del permesso di costruire, in quanto comporta un prolungamento del termine ordinario di efficacia del titolo edilizio, può essere consentita nei soli casi e modi previsti dalle previsioni dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001.
È stato, altresì, osservato che “l’onere di richiedere la proroga del titolo edilizio prima che il titolo venga a scadenza costituisce un portato necessario dell’assetto complessivo del sistema, posto che la decadenza matura automaticamente alla scadenza del termine e – ferma la necessità che l’Amministrazione la dichiari espressamente – essa opera di diritto. La concessione della proroga esclusivamente mediante un provvedimento espresso è, allora, prescritta dal legislatore al fine di soddisfare due concorrenti esigenze: da un lato, quella di assicurare – a beneficio, innanzitutto, del titolare del permesso di costruire – la certezza, in ogni momento, dei termini di efficacia del titolo edilizio; dall’altro, quella di consentire all’Amministrazione di valutare la sussistenza dei presupposti della proroga e la sua eventuale durata. L’atto di proroga, previsto dall’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza dell’accertamento dell’intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, che presuppone l’accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell’avvio dell’edificazione” (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 4 agosto 2016, n. 1564).
Variante urbanistica generale: motivazione e avvio del procedimento
– Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Milano, sent. 20 febbraio 2018 n. 481
– Massima: Una variante urbanistica generale non richiede motivazione particolare né deve essere preceduta da una comunicazione di avvio del procedimento
Per giurisprudenza pacifica, ex art. 3 c. 2 L. 241/90, gli atti di pianificazione urbanistica, tra cui rientrano anche le varianti generali, in quanto atti a contenuto generale, non richiedono motivazione particolare, essendo tale onere soddisfatto con una motivazione espressa in termini generali, ed in particolare, mediante la relazione di accompagnamento (C.S. Sez. IV, 28.9.2016, n. 4022, Sez. V. 27.8.2014 n. 4379, 11.7.2014 n. 3568).
Ai sensi dell’art. 13 della stessa legge, l’adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve necessariamente essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento (C.S., Sez. IV, 16.9.2011, n. 5229).
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