Ecco la selezione settimanale delle sentenze della scorsa settimana. Gli argomenti sono: qualificazione dell’intervento per la ricostruzione di un rudere; permesso di costruire: silenzio assenso per gli immobili in zona A; sequestro penale di un manufatto abusivo e ordine di demolizione; contestazione degli oneri di urbanizzazione; approvazione di un piano urbanistico con i consiglieri comunali in conflitto di interesse: come si vota?
Ricostruzione di un rudere: qualificazione dell’intervento
Estremi della sentenza: | TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 26 settembre 2017 n. 1167 |
Massima: | La ricostruzione dei ruderi è una nuova costruzione quando la parte dell’opera muraria ancora esistente non permette l’individuazione certa dei connotati essenziali del manufatto originario; diversamente, può configurarsi come ristrutturazione |
Come indicato dalla giurisprudenza, la ricostruzione dei ruderi vada considerata come realizzazione di una nuova costruzione, quando la parte dell’opera muraria ancora esistente non permette l’individuazione certa dei connotati essenziali del manufatto originario (muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura), attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare (T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 27/2/2017 n. 1169).
È stato affermato in proposito che “La ristrutturazione edilizia presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire (Cons. Stato Sez. IV 15 settembre 2006 n. 5375). Non è sufficiente che si dimostri che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all’an anche il quantum e cioè l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione. Occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (in casi analoghi la giurisprudenza ha preteso che l’immobile esista quanto meno in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza, possano farlo giudicare presente nella realtà materiale: Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2014, n. 5174; Cons. Stato, V, 15 marzo 1990, n. 293 e 20 dicembre 1985, n. 485)”.
“Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza, la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze comunque assimilabile alla ristrutturazione edilizia – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può dunque, in ogni caso, prescindere (Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475). L’attività di ricostruzione di ruderi è stata invece concordemente considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione (cfr. Cass. pen. 20 febbraio 2001, n. 13982; Cons. Stato, V, 1° dicembre 1999, n. 2021), avendo questi perduto i caratteri dell’entità urbanistico-edilizia originaria sia in termini strutturali che funzionali” (Consiglio di Stato, sez. VI – 5/12/2016 n. 5106).
La ricostruzione di un rudere non è riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia e neppure in quello del risanamento conservativo, integrando in sostanza un’attività di nuova costruzione, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (T.A.R. Toscana, sez. I – 16/5/2017 n. 692, ad avviso del quale ciò avviene per l’evidente ragione riconducibile al carattere derogatorio rispetto all’ordinaria disciplina che consente l’estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, che può svolgersi in via ordinaria solo in presenza di norme urbanistiche attuative e di dettaglio).
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Contestazione degli oneri di urbanizzazione
Estremi della sentenza: | Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 27 settembre 2017 n. 4515 |
Massima: | La contestazione sulla corresponsione degli oneri di urbanizzazione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall’impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela |
La natura paritetica dell’atto di determinazione degli oneri di urbanizzazione consente che l’Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito.
E ciò in quanto il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall’impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che “obbedisce” a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa.
La pariteticità dell’atto e l’assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito. L’originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto.
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Permesso di costruire: silenzio assenso per immobili in zona A
Estremi della sentenza: | Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 27 settembre 2017 n. 4516 |
Massima: | Deve escludersi l’operatività del silenzio assenso per la formazione del permesso di costruire relativo ad immobili situati in zona A del territorio comunale |
Come è noto, l’art. 20 DPR n. 380/2001, nel prevedere (co. 8) che “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio assenso”, esclude espressamente “i casi in cui sussistono vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali”.
Tale disposizione, peraltro, è coerente con quanto previsto, in linea generale, dall’art. 20 della l. n. 241/1990, che esclude l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso, tra l’altro e per quel che interessa nella presente sede, agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.
In sostanza, l’art. 20, co. 8 DPR n. 380/2001 e, più in generale, l’art. 20, co. 4, l. n. 241/1990, nell’escludere dalla formazione del silenzio assenso gli atti ed i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, ovvero ove sussistano vincoli (tra gli altri) culturali e/o paesaggistici, non intendono riferirsi ai soli casi in cui sussistano vincoli specifici, riguardanti un determinato immobile ovvero una parte di territorio, puntualmente individuati per il loro valore storico, artistico o paesaggistico con puntuali atti della pubblica amministrazione, ma si riferiscono, più in generale, a tutte le ipotesi in cui siano presenti, nell’ordinamento realtà accertate come riconducibili, anche in via generale, al patrimonio culturale e/o paesaggistico.
Devono, dunque, ritenersi ricomprese nei casi per i quali è esclusa la formazione del silenzio assenso, le domande volte ad ottenere titoli edilizi relativi ad immobili situati in zona A del territorio comunale, posto che tale zona, ai sensi dell’art. 2 D.M. n. 1444/1968 è quella costituente parte del territorio interessata “da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.
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Sequestro penale di un manufatto abusivo: ordine di demolizione
Estremi della sentenza: | TAR Lazio, sez. II quater Roma, sent. 26 settembre 2017 n. 9925 |
Massima: | La sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione |
Per costante giurisprudenza, la sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione, né integra causa di forza maggiore impeditiva della demolizione, dato che sussiste la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile, al fine di ottemperare all’ingiunzione di demolizione, proprio per evitare l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
L’inottemperanza all’ordine di demolizione non può essere giustificata dalla circostanza che le opere abusive siano state oggetto di sequestro adottato dall’Autorità giudiziaria, in quanto nelle ipotesi suddette è sempre possibile richiedere all’Autorità medesima il dissequestro allo scopo di eseguire l’ordine stesso sfuggendo al rischio dell’acquisizione di diritto del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 335; VI, 28 gennaio 2016, n.283; sez. VI, 9 luglio 2013, n. 3626; sez. IV, n. 1260 del 6 marzo 2012; Cassazione penale sez. III 15 novembre 2016).
Approvazione del piano urbanistico con consiglieri comunali in conflitto di interesse
Estremi della sentenza: | TAR Sardegna, sez. II, sent. 26 agosto 2017 n. 593 |
Massima: | Nel caso di consiglieri in conflitto di interessi e che si astengono sulla delibera di approvazione del piano urbanistico comunale, è legittima l’approvazione del piano urbanistico per stralci separati, con l’astensione dei consiglieri che si trovavano in situazione d’incompatibilità in relazione a ciascuna singola porzione, e quindi con un voto finale sull’intero strumento urbanistico, al quale partecipa[no] tutti i consiglieri comunali presenti |
Nel caso di consiglieri in conflitto di interessi e che si astengono sulla delibera di approvazione del piano urbanistico comunale, è legittima l’approvazione del piano urbanistico «per stralci separati, con l’astensione dei consiglieri che si trovavano in situazione d’incompatibilità in relazione a ciascuna singola porzione, e quindi con un voto finale sull’intero strumento urbanistico, al quale partecipa[no] tutti i consiglieri comunali presenti: una modalità procedurale che, come è noto, questa Sezione ha più volte ritenuto legittima al fine di scongiurare il rischio di impossibilità de facto di pervenire ad approvazione degli strumenti urbanistici, specie nei Comuni di dimensioni medie o piccole (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2011, nr. 3663; id., 22 giugno 2004, nr. 4429)» (cfr. Cons. St., IV, sent. 17 aprile 2015 n. 2094).
Nel caso in cui, invece, tutti i componenti del Consiglio Comunale dichiarano di astenersi per la sussistenza di un conflitto di interessi rispetto al contenuto dell’atto sottoposto all’approvazione consiliare, l’unica soluzione è quella della nomina di un commissario ad acta da parte della Regione.
Secondo la recente giurisprudenza, inoltre, la decisione di astenersi dal voto per l’incompatibilità derivante dal conflitto di interessi è sostanzialmente insindacabile, non sussistendo un obbligo giuridico inderogabile del consigliere comunale di partecipare alla votazione sugli atti del Consiglio.
In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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