Un emendamento alla Manovrina finanziaria dell’aprile scorso tenta di rimediare ai problemi nati a Firenze a seguito della sentenza 6873 della Corte di Cassazione sul cambio destinazione uso: la modifica riguarda l’articolo 3 comma 1 lettera c) del Testo unico edilizia e ammette nel restauro e risanamento conservativo anche le modifiche di destinazione d’uso, purché siano compatibili con le caratteristiche dell’edificio e ammesse dal PRG. Ricordiamo che la Manovrina è il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, e il suo Ddl di conversione ha ricevuto ieri il voto di fiducia alla Camera. Sarà approvato oggi.
L’impatto negativo della sentenza è naturalmente più forte in tutte le città con centri storici tutelati grandi, ma la preoccupazione si sta diffondendo negli Sportelli unici edilizia di tutte le grandi città e l’operazione non sembra riuscita pienamente. La sentenza infatti renderebbe inammissibili interventi di recupero e rifunzionalizzazione. La manovrina ha cercato di risolvere il problema per fermare il panico, con scarsi risultati.
Cosa dice la sentenza
La Corte di Cassazione ha sentenziato (scarica la sentenza 6873) che il cambio di destinazione d’uso, anche se attuato con lavori di modesta entità, configura una ristrutturazione edilizia soggetta a permesso di costruire perchè alla fine dell’intervento l’organismo edilizio è diverso dal precedente. Il cambio d’uso, qualunque sia l’entità dei lavori, porta sempre alla ristrutturazione edilizia pesante (art. 10 c.1 lett. c del TU), perché per quella leggera è sufficiente la SCIA. Se l’intervento non prevede la ristutturazione edilizia, il cambio di destinazione uso non si può fare.
Se è il cambio d’uso a classificare l’intervento come ristrutturazione edilizia allora, anche se le opere sono di modesta entità, l’impostazione base del Testo unico edilizia cambia, e a cascata cambia l’impostazione delleggi regionali. Nelle attuali norme, quel che conta è l’entità delle opere edilizie (articolo 3 del TUE).
Come interviene la Manovrina
La modifica della Manovrina riguarda il cambio uso e la definizione di “Restauro e risanamento conservativo” dell’articolo 3 del testo unico edilizia (Dpr 380/2001).
Il testo originario dice: «c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio».
Il testo dell’emendamento alla Manovrina invece è: «All’articolo 3, comma 1, lettera c), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le parole: «ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili» sono sostituite dalle seguenti: «ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi».
Perché la Manovrina non risolve niente
L’emendamento stabilisce che gli interventi di restauro e risanamento conservativo consentono «anche il mutamento delle destinazioni d’uso», come se la precedente «destinazioni d’uso con essi compatibili» non comprendesse il cambio a seguito della realizzazione delle opere.
In particolare nei centri storici, il parametro che condiziona la destinazione e le opere è la compatitibiltà del cambio di destinazione d’uso con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio, non la questione sul titolo abilitativo necessario. Questo è l’obiettivo che un soggetto che pianifica si deve prefiggere nel disciplinare gli interventi: la compatibilità, per non alterare l’edificio dal punto di vista fisico e funzionale.
Cambio destinazione d’uso: ulteriori problemi
I problemi arrivano, inoltre, anche dalle tabelle del Dlgs 222/2016 (il decreto Scia 2) che sembra aver introdotto forzature alle norme del Testo unico edilizia in materia di cambi di destinazione d’uso.
L’articolo 23 ter del TUE vorrebbe risolvere il caos di regolamentazione a livello regionale e comunale che prima prevedeva in alcuni casi più di 20 catagorie: la nuova disciplina mette al centro la rilevanza urbanistica del cambio destinazione d’uso e accorpa 5 categorie per ridurre la casistica della rilevanza stessa, cosa che dovrebbe agevolare il cambio d’uso.
Sarebbe necessario modificare anche l’articolo 10 comma 2 che affida alle Regioni il compito di disciplinare il mutamento di destinazione d’uso prevedendo l’assoggettamento a permesso di costruire o SCIA. L’articolo 10 comma 2 del testo Unico edilizia dice: «Le Regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinate a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività», introduce il concetto di una disciplina autonoma dei cambi d’uso, indipendente dall’entità dei lavori edili.
È necessario fare chiarezza sulla prevalenza dell’entità delle opere e della loro compatibilità con la destinazione d’uso ai fini del titolo abilitativo necessario.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento