Oneri di urbanizzazione, quando devono essere restituiti?

Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze in materia di edilizia e urbanistica pubblicate la scorsa settimana. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono:

  • oneri di urbanizzazione – restituzione;
  • oneri di urbanizzazione – natura del contributo;
  • risarcimento del danno in caso di ritardo nel rilascio del titolo edilizio;
  • muro di contenimento – qualifica di costruzione;
  • votazione del PRG nei piccoli Comuni.

Restituzione Oneri di Urbanizzazione

Estremi della sentenza: TAR Sicilia, sez. II Catania, sent. 27 gennaio 2017 n. 189
Massima: Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione

 

Come affermato dalla giurisprudenza, allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o, comunque, dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione.

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Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare, cosicché l’importo versato va restituito, con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, di talché l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 105/1988, n. 894/1995 e n. 3714/2003; TAR Abruzzo, sent. n. 890/2006; TAR Emilia Romagna, sez. di Parma, n. 149/1998; TAR Sicilia, sez. I Catania, sent. n. 159/2013).

Natura del contributo per oneri di urbanizzazione

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. I Salerno, sent. 31 gennaio 2017 n. 179
Massima: Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse.

 

Gli oneri di urbanizzazione hanno la funzione di far sì che il costruttore partecipi ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la costruzione ne ritrae: conseguentemente, essi vanno corrisposti solo nel caso in cui l’intervento determini un aumento del carico urbanistico, e cioè determini la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione ovvero l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.

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Nel sistema vigente il contributo per oneri di urbanizzazione è infatti un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse; tali oneri sono pertanto dovuti anche al di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle singole aree.

Risarcimento del danno in caso di ritardo nel rilascio del titolo edilizio

Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 31 gennaio 2017 n. 168
Massima: Il risarcimento del danno da ritardo risulta ammissibile se il danneggiato prova: I) la violazione dei termini procedimentali; II) il dolo o la colpa dell’amministrazione; III) il nesso di causalità materiale o strutturale; IV) il danno ingiusto, inteso come lesione dell’interesse legittimo al rispetto dei predetti termini

 

A seguito dell’introduzione dell’art. 2 bis della L. 241/90 (intervenuta con l’art. 7, comma 1, lett. c), L. 18 giugno 2009, n. 69, ma che ha fatto proprio un costante orientamento giurisprudenziale) si è previsto, almeno in astratto, l’ammissibilità del risarcimento del danno da ritardo, riconducibile all’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Tuttavia, detta fattispecie di danno non può restare avulsa da una valutazione di merito sulla spettanza del bene sostanziale della vita e, quindi, deve essere subordinata (anche) alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento era probabilmente destinata ad un esito favorevole e, dunque, alla prova della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 22 settembre 2016, n. 3920).

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Un altrettanto consolidato orientamento (da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 5 maggio 2016, n. 1768 e Consiglio di Stato, sez. V, sent. 22 settembre 2016, n. 3920) ha affermato che l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).

Il risarcimento del danno da ritardo risulta ammissibile se il danneggiato prova: I) la violazione dei termini procedimentali; II) il dolo o la colpa dell’amministrazione; III) il nesso di causalità materiale o strutturale; IV) il danno ingiusto, inteso come lesione dell’interesse legittimo al rispetto dei predetti termini. Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato con un nesso di causalità, giuridica o funzionale, ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 14 novembre 2014, n. 5600).

In assenza di detti presupposti non è possibile invocare l’equità integrativa ex art. 1226 c.c. o l’ausilio del consulente tecnico d’ufficio (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 12 dicembre 2016, n. 5199 e TAR Lazio, sez. II Roma, sent. 16 luglio 2007, n. 6476).

Muro di contenimento – qualifica di costruzione

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 1 febbraio 2017 n. 412
Massima: Soltanto nel caso di dislivello naturale il muro di contenimento non può considerarsi costruzione

È insegnamento consolidato che soltanto nel caso di dislivello naturale il muro di contenimento non può considerarsi costruzione, laddove al contrario esso è costruzione se volto a sostenere un terrapieno creato in modo artificiale (cfr. Cass., Sez. II, 17 settembre 2013 n. 21192, sul cui solco si pongono Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 2 novembre 2010, n. 7731 e sent. 24 aprile 2009, n. 2579, e sez. V, sent. 28 giugno 2000, n. 3637).

Di conseguenza, un muro qualificabile come costruzione deve rispettare le distanze dal confine e distanziarsi altresì dagli altri fabbricati secondo le norme previste in materia.

Votazione del PRG nei piccoli Comuni

Estremi della sentenza: TAR Liguria, sez. I, sent. 30 gennaio 2017 n. 57
Massima: Nei piccoli Comuni il PRG si vota attraverso le votazioni frazionate per evitare i conflitti di interesse

 

Il concetto di “votazione frazionata” definisce il meccanismo procedimentale, da tempo invalso nella prassi dei Comuni di piccole e medie dimensioni, mediante il quale l’adozione di uno strumento urbanistico o di una variante generale si snoda in una pluralità di votazioni, riguardanti singole porzioni di territorio, al fine di evitare che possibili conflitti di interessi inficino la legittimità della deliberazione nel suo complesso.

Gli amministratori si astengono, di volta in volta, dalla partecipazione alle votazioni relative a porzioni di territorio rispetto alle quali versano in situazione di conflitto di interessi.

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Tale soluzione, seppure non munita di specifica “copertura legislativa”, è stata costantemente ritenuta corretta dalla giurisprudenza, poiché ragionevole, realistica e non preclusa da alcuna disposizione normativa (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 16 giugno 2011, n. 3663 e sent. 22 giugno 2004, n. 4429; TAR Lazio, sez. II Roma, sent. 4 settembre 2002, n. 7590; TAR Veneto, sez. I, sent. 6 agosto 2003, n. 4159; TAR Liguria, sez. I, sent. 19 ottobre 2007, n. 1773; TAR Emilia Romagna, sez. Parma, sent. 22 settembre 2009, n. 675; TAR Abruzzo, sez. L’Aquila, sent. 6 marzo 2010, n. 179; TAR Campania, sez. VIII Napoli, sent. 7 aprile 2016, n. 1766).

Soprattutto nei piccoli Comuni, infatti, sarebbe sostanzialmente impossibile, qualora non si consentisse detta “votazione frazionata”, procedere alla formazione degli strumenti urbanistici, atteso che gran parte dei consiglieri e dei loro parenti o affini sono normalmente proprietari di terreni incisi dalle previsioni urbanistiche.

Redazione Tecnica

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