Il termine per il versamento dell’acconto TASI 2014 è scaduto improrogabilmente giovedì scorso, 16 ottobre: una scadenza davvero particolare anche perché si trattava della seconda “tranche” temporale per il pagamento della prima rata del tributo sui servizi indivisibili in questo 2014. Nei Comuni puntuali con le delibere nel mese di maggio si era infatti giunti al pagamento già il 16 giugno scorso.
Le polemiche in ordine a questo nuovo tributo non sono certo mancate negli scorsi mesi: confusione nel meccanismo delle detrazioni, poca chiarezza nel regime degli adempimenti e nella collocazione delle scadenze, Comuni spesso non puntuali con la pubblicazione delle delibere. Questi i punti critici relativi ad un tributo che va di traverso a contribuenti (e spesso anche alle amministrazioni comunali) e che probabilmente l’anno prossimo non esisterà più.
Inoltre è emersa la problematica relativa al fatto che nella maggior parte dei Comuni italiani non siano giunte ai contribuenti comunicazioni contenenti l’importo da pagare o le scadenze tassative: non si fa cenno qui ai bollettini precompilati. Molte amministrazioni non si sono premurate neanche di comunicare ai cittadini che esiste una tassa sui servizi indivisibili (servizi anagrafici, pulizia e manutenzione delle strade, illuminazione pubblica) e che quest’ultima va pagata.
Una parte della responsabilità grava sulle spalle delle Amministrazioni comunali. Ma gran parte delle colpe in merito a questa situazione di confusione e scarsa chiarezza vanno certamente ascritte a chi ha redatto il testo normativo recante la disciplina del tributo (il Parlamento). In tutto questo sono però i cittadini (in questo caso i contribuenti che possiedono una abitazione) a subirne gli effetti perniciosi.
Nel Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR) è vergato nero su bianco che lo Stato è tenuto a “mettere i cittadini nelle condizioni migliori per assolvere ai propri doveri”: sembra proprio che in questa circostanza (e non è certo la prima volta) il principio non abbia orientato l’operato del nostro legislatore (leggi Parlamento).
Ma cosa accade nel caso in cui un cittadino non abbia ottemperato al pagamento nei termini stabiliti? Esiste l’istituto del ravvedimento operoso, uno strumento mediante il quale il contribuente può regolarizzare la propria posizione pagando una piccola multa. Si paga lo 0,2% per ogni giorno di ritardo ma solo entro i primi 14 giorni dalla data di scadenza del pagamento. A partire dal quindicesimo giorno fino al trentesimo la sanzione diventa fissa e si attesta sul 3%, salendo poi al 3,75% dal trentunesimo giorno e fino al termine per la presentazione della dichiarazione TASI relativa all’ anno in cui è stata commessa la violazione. A ciò vanno aggiunti ovviamente gli interessi legali all’1%.
Ma è giusto far pagare una sanzione calmierata (una sorta di mora) al contribuente che non è stato messo nelle condizioni migliori per assolvere ai propri doveri tributari? In fondo esiste un articolo del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che afferma ciò. Ma forse i nostri rappresentanti seduti in Parlamento non ci hanno fatto tanto caso.
Propositi ed auspici per l’anno prossimo? Una tassa sulla casa più chiara e semplice (e magari meno onerosa). E magari una più efficiente strategia di comunicazione nei confronti del cittadino (con una più efficiente sinergia tra Parlamento ed amministrazioni comunali).
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