In tema di tutela del paesaggio, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non consente la sanatoria della maggior parte delle opere realizzate in assenza di specifica valutazione di compatibilità. L’assurdo è che l’opera realizzata non può essere sanata a posteriori ma, la medesima, può essere demolita e ricostruita previa acquisizione dei relativi pareri e nulla osta.
Nel merito si è espressa la VI Sezione del Consiglio di Stato, con la Sentenza del 30 maggio 2014, n. 2806, ed è stata sollevata la questione di costituzionalità per la disciplina paesaggistica e la tutela del paesaggio, poiché risulta particolarmente rigorosa, deducendo la questione di costituzionalità degli articoli 167, comma 4, lett. a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 limitatamente alle parole “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, e 181, comma 1, ter lett. a), limitatamente alle parole “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
La questione di costituzionalità viene sollevata con riferimento agli articoli 3, sotto un triplice profilo, 97 e 118 della Costituzione.
Per il primo profilo è stato evidenziato che la legge prevede la sanabilità per interventi e lavori che non comportano aumento di volumi e superfici, idonei a vulnerare molto più gravemente il paesaggio, come taglio di boschi, chiusura di zone umide, riempimenti di alvei di canali, paludi, etc., per i quali però la richiesta di accertamento di compatibilità è ammessa.
Per il secondo profilo, in coerenza con quanto previsto anche dall’articolo 36 del Testo unico dell’edilizia, il codice dei beni culturali e del paesaggio avrebbe dovuto prevedere la “sanatoria”, o quantomeno la possibilità di un accertamento ex post per tutti gli interventi eseguiti su beni paesaggistici.
Per l’ultimo profilo la norma è pure intrinsecamente irragionevole per eccesso di rigidità della disciplina. Tale rigidità impedisce all’amministrazione competente di apprezzare liberamente il caso concreto, alla luce delle risultanze di fatto.
L’articolo 97 della Costituzione prevede che l’azione dei pubblici poteri sia improntata all’economicità e alla proporzionalità di questa rispetto ai fini perseguiti.
Le norme che non consentono l’accertamento di conformità paesaggistica, se non in determinati casi, violano apertamente tali principi, giacché impongono la demolizione di un’opera che potrebbe essere immediatamente riedificata, senza possibilità alcuna di intervento della p.a. in ordine alla verifica della sua compatibilità con l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio.
Impedisce il principio di sussidiarietà il fatto che l’autorità preposta alla gestione dei vincoli ambientali sia “espropriata” del potere di pronunciarsi sulla compatibilità paesaggistica ex post di un manufatto, quando poi spetti a essa il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per il medesimo manufatto, una volta demolito e ricostruito.
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