Sebbene il gazebo sia generalmente riconosciuto quale elemento pertinenziale di aree esterne liberamente installabile ex art. 6, comma 1, lett. e-quinquies, del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001)[1], ciò non esime il proprietario a rispettare comunque “le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
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E tra le normative da rispettare rientrano anche le disposizioni sulle distanze contenute nei regolamenti locali previste per i gazebi; laddove, invece, a livello locale non siano previste disposizioni specifiche su tale aspetto, non vi è una norma da rispettare ed il gazebo potrà essere installato anche a brevissima distanza dal confine. Ribadiamo, a scanso di equivoci, che stiamo parlando dei gazebi liberamente installabili, non qualificabili come costruzioni.
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Nei casi in cui, invece, il gazebo non sia un semplice manufatto liberamente installabile ma venga considerato alla stregua di una vera e propria costruzione, non solo il proprietario deve richiedere un vero e proprio titolo edilizio (permesso di costruire[2] o SCIA[3]), ma al contempo deve rispettare le norme sulle distanze previste per le costruzioni vere e proprie. Solitamente tali distanze vengono previste nel regolamento edilizio e/o negli strumenti urbanistici comunali; in difetto (ipotesi rara, nella realtà), soccorre l’art. 873 cod. civ. che prescrive una distanza minima di 3 metri.
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Si può parlare di servitù e usucapione?
Un aspetto interessante della questione si ha quando il soggetto ritenga il gazebo installato quale struttura non abbisognante di un titolo edilizio ed i vicini, al contrario, considerino rilevante la struttura, anche ai fini del rispetto delle distanze, ed invochino l’intervento dell’ufficio tecnico. In tale ipotesi, dinanzi ad un eventuale provvedimento amministrativo di demolizione, il proprietario del gazebo dovrà dimostrare che il manufatto non può essere considerato una nuova costruzione (e se tale dimostrazione fallisce, sarà necessario presentare la richiesta di un titolo edilizio in sanatoria) oppure modificare il gazebo in modo da “destrutturarlo” a mero arredo (quest’ultima soluzione può anche essere la più semplice ed economica).
Se il gazebo esiste da molti anni ed i vicini non si sono mai effettivamente attivati per richiedere formalmente il suo spostamento o per invocare l’intervento dell’ufficio tecnico, il proprietario potrebbe essere tentato dall’idea di invocare il giudice ordinario (non quello amministrativo) per vedersi riconosciuto il proprio diritto al mantenimento del manufatto, sotto forma di servitù prediale.
Si tratta di un aspetto che è bene chiarire, anche perché la materia è estremamente delicata e comporta un “incrocio” fra il diritto privato ed il diritto edilizio-urbanistico e richiederebbe un approfondimento evidentemente non possibile in questa sede.
Il nostro ordinamento giuridico prevede l’usucapione (art. 1158 c.c.) quale forma di acquisto di un diritto (anche di una servitù), al ricorrere di determinate condizioni (ad esempio, con riferimento agli immobili, 20 anni di possesso continuativo del bene ed inerzia dell’avente diritto): nel nostro caso, del diritto a mantenere una costruzione nonostante la violazione delle norme in materia di distanza. L’interessato deve necessariamente adìre il giudice ordinario (sopportando i relativi costi legali), comprovando l’esistenza delle condizioni di legge e chiedendo che sia dichiarata l’avvenuta usucapione del diritto al mantenimento del manufatto ad una distanza inferiore a quella prevista, sotto la forma di servitù prediale. Ricordiamo che l’usucapione non esiste senza la sentenza del giudice che la dichiara, per cui rivolgersi all’autorità giudiziaria è l’unico modo per vedersi riconosciuta tale forma di acquisto del diritto.
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L’assenso dei vicini è utile?
Qualcuno potrebbe pensare, quale alternativa, ad un assenso (secondo i requisiti di forma previsti dal regolamento edilizio comunale) dei vicini al mantenimento del gazebo; si tratta di una strada che, però, presenta due ordini di problemi:
- eventuali accordi privati derogatori non valgono per le distanze minime previste dai regolamenti comunali, le quali sono poste a tutela dell’interesse pubblico[4];
- le servitù non nascono da un atto di mero assenso ma solo per contratto, sentenza o provvedimento amministrativo: quindi, un atto di assenso unilaterale non pare strumento idoneo allo scopo, risultando necessario un vero e proprio negozio giuridico fra gli interessati.
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[1] “Il gazebo è descritto come opera in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente. Essa, pertanto, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e) quinquies del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett e.1), trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale (cfr. Cass.pen., III, 2.10.2018 n. 54692); il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 2.3.2018 prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo”: TAR Lazio, latina, sent. 4 ottobre 2019 n. 564
“Il gazebo, nella sua configurazione tipica, è, per definizione, una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per l’allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi, è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi (T.A.R. Napoli, sez. VIII, 06/12/2019, n.5733)”: TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 7 dicembre 2022, n. 3314.
[2] “Serve il permesso di costruire per una struttura in ferro, qualificata come gazebo, con copertura in pannelli ISOTEC di dimensioni di circa mt 10,00 per 5,40 e altezza di mt. 2,46, stabilmente ancorata alla ringhiera del terrazzo della ricorrente, e destinata alla soddisfazione di esigenze di carattere non transitorio; trattasi, infatti, di manufatto senz’altro idoneo a determinare una stabile trasformazione del territorio. È stato, in proposito, condivisibilmente osservato che: “Il gazebo (struttura a copertura di un’area, sorretta da pali o pilastri, aperta sui lati) costituisce opera soggetta a permesso a costruire tutte le volte che è destinata ad esigenze non temporanee, senza che rilevi la sua facile amovibilità o il materiale dal quale è composto (ligneo invece che in muratura)” (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II, 05/01/2021, n. 178)”: TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 2 gennaio 2023, n. 16.
Serve il permesso di costruire per un “gazebo di legno di mt. 3,10 con H variabile da mt. 2,45 a mt 3,00, costituito da una copertura in legno a forma di pagoda con sovrastanti tegole canadesi e da n. 7 pali verticali e da n. 16 pali orizzontali, realizzato in area cortilizia, addossato all’angolo della recinzione in muratura (che rende di fatto chiusi i due lati corrispondenti) con una struttura che, sebbene in legno, è evidentemente stabile, ovvero preordinata ad una esigenza permanente di copertura di una porzione di tale area, con la conseguenza che non può predicarsene una natura meramente temporanea”: TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 5 gennaio 2021, n. 178.
[3] “Non è subordinato al preventivo rilascio del permesso di costruire ma alla SCIA la realizzazione di un gazebo su telaio metallico e copertura in pannelli plastici (m. 4,25×2,50), collocato sulla terrazza; conseguentemente, non è adottabile la sanzione demolitoria in assenza della segnalazione”: TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 23 febbraio 2022, n. 543.
[4][4] Corte di Cassazione, ord. n. 24827/2020.
Immagine: iStock/KatarzynaBialasiewicz
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