Il nuovo regolamento sulle terre e rocce da scavo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 21 settembre 2012, dovrebbe porre la parola fine alla “saga” normativa dei materiali da riporto, iniziata con l’art. 186 del testo unico Ambiente che oggi scompare (leggi anche l’articolo di Roberto Pizzi Nuovo regolamento Terre e rocce da scavo: prime impressioni e una (doverosa) precisazione).
“Restano, però, alcuni vecchi dubbi accanto a nuove perplessità”, scrive sul numero di ottobre della rivista L’Ufficio Tecnico, Paolo Costantino, avvocato esperto di tematiche ambientali e blogger di Ediltecnico.it.
La norma contenuta nell’art. 186 del d.lgs. 152/2006 (il c.d. testo unico Ambiente) si dedicava alle terre e rocce da scavo (variamente individuati) perché essi rappresentavano – o meglio, potevano rappresentare – un’importante deroga al regime dei rifiuti”, continua Costantino, “consentendo agli operatori del settore (principalmente edile) di trattare e maneggiare questi residui al di fuori delle regole previste per i rifiuti e del tutto legittimamente, come se trattassero o maneggiassero dei qualsiasi materiali da costruzione”.
Successivamente è comparsa un’altra norma, l’art. 184-bis, di pari se non superiore importanza, relativa ai sottoprodotti.
“Ebbene”, argomenta Costantino, “dall’introduzione dell’art. 184-bis vi era una coabitazione tra una norma, diciamo così, generale e astratta sui sottoprodotti ed una norma, invece, praticamente particolare e concreta sui sottoprodotti, cioè l’art. 186″.
E proprio l’art. 184-bis annunciava l’arrivo (peraltro, senza un termine preciso) di uno o più regolamenti ministeriali relativi ad uno o più tipologie, da individuarsi, di sottoprodotti, ciascuna con le proprie regole e con le proprie particolarità. Tra queste, era lecito immaginare che venissero ricomprese anche le terre e rocce da scavo.
Ciò posto, la separazione tra sottoprodotti, da una parte, e terre e rocce da scavo, dall’altra parte, anziché venir mitigata da successivi interventi normativi è stata, invece, rimarcata: ad esempio, dall’art. 49 del d.l. 1/2012, il c.d. “decreto Liberalizzazioni”, (convertito in l. 27/2012) il quale è intervenuto sull’argomento dei (soli) sottoprodotti terre e rocce da scavo prevedendo, in buona sostanza, anche per tali materiali la necessità di un futuro regolamento ministeriale che ne disciplinasse l’utilizzo e le condizioni di esistenza; con la differenza che, rispetto a quelli previsti per gli “altri” sottoprodotti, stavolta per l’adozione del decreto era fissato il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.
“Altro effetto importante della norma sulle liberalizzazione”, ricorda nel suo articolo Costantino, “è quello abrogativo proprio dell’art. 186, testo unico Ambiente, con dies a quo dall’entrata in vigore dell’emanando (ora emanato) decreto ministeriale sulle terre e rocce da scavo”.
Pertanto, con la messa a regime del regolamento sulle terre e rocce da scavo (fissata per il 6 ottobre 2012) l’art. 186 esce di scena, e l’intera disciplina in materia di terre e rocce da scavo rimane affidata al solo d.m. 161/2012.
L’art. 4 (Disposizioni generali) riproduce le condizioni già previste in precedenza affinché i materiali da scavo siano sottoprodotti e, quindi, oggetto della speciale disciplina (derogatoria di quella sui rifiuti) loro dedicata: devono essere generati accidentalmente o comunque non da un processo destinato al loro ottenimento; devono essere utilizzabili senza trattamenti diversi dalla “normale pratica industriale” (che per tali materiali, come detto, è spiegata nell’apposito allegato); devono soddisfare i requisiti di qualità ambientale.
Tutte queste caratteristiche vanno, in un certo modo, certificate. Dove? In un’altra, apprezzabile novità introdotta dal regolamento, cioè il Piano di Utilizzo delle terre e rocce da scavo di cui all’art. 5, che si prospetta come il documento fondamentale nella gestione delle terre e rocce da scavo.
L’Autorità dispone di novanta giorni (dalla presentazione del piano o delle integrazioni richieste) per approvare oppure rigettare il Piano presentato. In caso di rigetto, è possibile una nuova presentazione del Piano: non si comprende, però, la necessità di un simile consenso, atteso che non si rinviene – nel regolamento come nella disciplina legislativa di settore – una qualche decadenza in casi del genere.
Una scelta discutibile (anche in sede costituzionale) è quella che consente al proponente, una volta trascorsi 90 giorni dalla presentazione del piano o delle integrazioni, di avviare la (sua) gestione dei materiali da scavo, e quindi di iniziare a produrli con l’avvio delle lavorazioni necessarie per realizzare l’opera.
Il regolamento sulle terre e rocce da scavo pare creare, così, una sorta di meccanismo di silenzio-assenso (forse per questo adopera il termine “diniego”?), che però, attesi gli interessi in gioco e soprattutto il rischio di agire in violazione della normativa ambientale (con possibili sanzioni di tipo penale, anche per le persone giuridiche), rischia di restare, in via prudenziale, lettera morta.
L’articolo integrale di Paolo Costantino sul nuovo regolamento delle terre e rocce da scavo è pubblicato sul numero di ottobre 2012 de L’Ufficio Tecnico.
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