Un altro passo avanti. La notizia che la competente direzione generale per le imprese della Commissione europea non ha mosso alcun rilievo allo schema di decreto ministeriale sulle terre e rocce da scavo deve leggersi come un “via libera” di fatto alla pubblicazione dell’atteso nuovo decreto (leggi anche Terre e rocce da scavo, da Bruxelles disco verde al decreto).
Con la lentezza tipica degli apparati burocratici (nazionali, ma non solo), e tra innumerevoli modifiche, interpretazioni, valutazioni e ripensamenti, sembra proprio che questa volta la strada sia davvero spianata.
Certamente il parere (anzi, il “non parere”) della Commissione europea non esclude eventuali colpi di scena dell’ultim’ora, ma ci sono fondate ragioni per ritenere che la bozza di decreto inviata ai tecnici di Bruxelles sia quella che sarà finalmente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in breve tempo.
Una delle ragioni principali risiede nella forte volontà del Governo Monti di ridare impulso all’economia nazionale anche attraverso il rilancio del settore delle costruzioni e lo snellimento delle procedure gestionali e burocratiche connesse.
In questo senso va letto il richiamo ala necessità di “favorire la ripresa del processo di infrastrutturazione del Paese” contenuto nell’articolo 3 del decreto legge 25 gennaio 2012, n. 2, che disciplina, da ultimo, la questione delle terre e rocce da scavo e dei materiali di riporto, con modifiche al testo unico Ambientale e con disposizioni ex novo.
Se da un lato le grandi opere trarranno giovamento dai chiarimenti apportati e, soprattutto, dalle novità introdotte in tema di assimilabilità dei rifiuti alle TRS, restano fermi i dubbi sull’applicabilità concreta alle realtà imprenditoriali medio – piccole (che rappresentano un’aliquota importante dei produttori di TRS) delle norme contenute nell’emanando decreto, specialmente quelle concernenti il cosiddetto Piano di utilizzo.
Le procedure da seguire a cura del produttore e le relative tempistiche, che prevedono tra l’altro anche una parte attiva e rilevante da parte degli enti di controllo, potrebbero rivelarsi alla prova dei fatti una corsa ad ostacoli per i cantieri delle opere civili “minori”, depotenziando notevolmente la possibile portata in termini di impatto positivo sull’uso delle risorse naturali e sul ripristino del territorio.
L’auspicio è che i tecnici ministeriali non si fermino all’atto della emanazione del decreto, ma diano avvio ad una profonda attività di monitoraggio, tramite le agenzie regionali per l’ambiente, dell’impatto reale della norma nel corso degli anni a venire. Magari iniziando a chiedere il censimento e la pubblicazione, nel Rapporto rifiuti edito annualmente dall’ISPRA, dei numeri riguardanti il ciclo delle terre e rocce da scavo, un vero e proprio buco nero ingiustificabile.
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