Solo l’uno per cento degli incentivi erogati fino ad oggi è stata destinato allo sviluppo della ricerca sul fotovoltaico. A rischio chiusura il centro di ricerca della Memc di Sinigo
L’1,26% del PIL è quanto il nostro paese investe in ricerca e sviluppo, secondo gli ultimi dati dell’Istat. Nel 2010 sono stati stanziati circa 19 miliardi di euro, di cui oltre la metà da parte delle imprese. Lo Stato, le Regioni e le province autonome hanno finanziato solo 8,8 miliardi di euro, un cifra che negli anni precedenti era di 9 miliardi di euro. In Italia si spende troppo poco per la ricerca rispetto all’Europa, dove la media della spesa si attesta intorno al 2% del PIL. Dopo di noi, solo la Grecia, l’Ungheria e la Polonia.
Secondo il rapporto, più del 53% della spesa 2010 per la ricerca è stata sostenuta dalle imprese, il 14% dal settore pubblico e il 3% dal settore privato no profit. Tra i settori in cui si investe di più troviamo quelli legati alla fabbricazione di computer e prodotti elettronici, alla progettazione di veicoli e apparecchiature meccaniche. A tutti gli altri, nonostante gli impegni presi in sede europea in materia di ricerca e innovazione, non vanno neanche le briciole.
“Nel nostro Paese”, secondo Nicola Baggio, product manager di Silfab, multinazionale italiana che progetta e realizza componenti e sistemi per la filiera del solare “sul fronte di una tecnologia nuova come quella del fotovoltaico, abbiamo avuto una politica di incentivi che ha puntato solo all’installazione trascurando l’importanza della ricerca tecnologica. A fronte di 5 miliardi all’anno di incentivi erogati, possiamo dire che la ricerca e lo sviluppo hanno ricevuto una cifra inferiore all’uno per cento. Troppo poco se pensiamo alle enormi potenzialità dell’elettronica integrata ai moduli o alle infinite possibilità offerte dall’integrazione architettonica. Oggi ci troviamo nella situazione paradossale che noi abbiamo aumentato il volume produttivo e altri, ad esempio Taiwan con la ricerca sulle celle, ha migliorato le proprie prestazioni tecnologiche”.
Un contesto dove la ricerca universitaria gioca un ruolo chiave e dove non mancano esempi virtuosi come ad esempio l’Università di Salerno, eccellenza riconosciuta in tutto il mondo per la formazione di ingegneri altamente specializzati. “Il nostro gruppo”, spiega Giovanni Spagnuolo che insieme a Nicola Femia e Giovanni Petrone fa parte del gruppo di Elettrotecnica del Dipartimento Ingegneria Elettronica e Ingegneria Informatica dell’Università di Salerno “è stato tra quelli prescelti, all’epoca, dal velista Giovanni Soldini per sviluppare il sistema fotovoltaico che ha alimentato la sua barca Class 40 Telecom Italia, che nel 2008 ha vinto la transoceanica Transat Jaques Vabre. Siamo anche tra i pochi che in Italia fanno ricerca specifica sulle attività di controllo del sistema fotovoltaico per garantirne la massima efficienza, sia su grandi che piccole potenze. Nostro è anche il prototipo di auto funzionante ad energia solare”.
Un centro di eccellenza che, prosegue il professor Spagnuolo: “ha visto comunque negli anni la drastica riduzione dei finanziamenti pubblici oltre al congelamento delle attività, tra cui gli avanzamenti di carriera”.
Alle Università, secondo il rapporto Istat, va il 30% dei fondi pubblici fondi che però, continua Giovanni Spagnuolo: “non sono sufficienti per consentire l’internazionalizzazione delle nostre Università. Da un alto ci viene richiesto di accogliere studenti da varie parti del mondo ma dall’altra non siamo in grado di assicurare loro borse di studio. E, una volta accolti, non riusciamo a tenerli con noi perché mancano gli strumenti per finanziare i nostri progetti. Ad affascinare un giovane studioso, oltre alla qualità della ricerca, al contesto in cui inserirsi e ai laboratori, c’è anche la possibilità di guadagno”. “E questo”, conclude Spagnuolo, “nonostante tutti i nostri sforzi non sempre è possibile”.
Per sviluppare la ricerca in Italia, come recentemente dichiarato dal nuovo presidente del Cnr, Luigi Nicolais al Sole 24 Ore: “è fondamentale l’alleanza con le imprese. Un sistema che non deve solo creare conoscenza ma deve porsi l’obiettivo di trasferirla e metterla sul mercato, attirando nuovi investimenti”.
Sinergie con il mondo imprenditoriale che, come spiega Nicola Baggio: “ci vengono richieste dalle Università ma che purtroppo non sempre riusciamo a sviluppare. Se prendiamo ancora l’esempio del fotovoltaico, tecnologia su cui l’innovazione e la ricerca giocano un ruolo fondamentale sia per l’abbattimento dei costi che per la competitività delle aziende italiane, ci accorgiamo di come abbiamo perso un’opportunità importante”. “E pensare che l’Italia”, conclude Baggio, “già nel 2005 era all’avanguardia in questo settore”.
Conti in rosso quindi sul fronte del ritorno economico e prospettive preoccupanti per la fuga di conoscenze dal territorio italiano.Ne è un esempio la Memc di Sinigo, in provincia di Bolzano. L’unità produttiva e ricerca sul silicio di Merano fu creata dalla Montecatini nel 1960, come spin off dell’Istituto Donegani, uno dei principali centri di ricerca industriale in Italia, impegnato nella ricerca e sviluppo di tecnologie innovative in diversi campi della chimica. Nel 1980 fu venduta e, secondo le cronache di allora, il presidente Schimberni si rimproverò poi, pubblicamente, di aver ceduto un’azienda che produceva silicio.
Allora però Montedison non aveva le risorse economiche e la volontà per finanziare un’azienda come quella puntando, allora come oggi, all’innovazione e alla ricerca.“Oggi”, ha spiegato Lorenzo Pavesi, professore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, “le attività di ricerca sul silicio policristallo non sono state interrotte ma non sappiamo se verranno mantenute oppure no. Se l’azienda deciderà di spostare le proprie attività in un altro paese, è chiaro che anche il centro di ricerca se ne andrà con loro”.
Se, come noto, allo sviluppo dell’innovazione e della tecnologia è strettamente connessa la competitività di lungo termine di un paese, con più produttività e più esportazioni, è lecito chiedersi quali saranno le politiche del Governo e quali le risorse a disposizione. Da più parti non mancano, nel frattempo, le dichiarazioni di intenti. Una su tutte, quella del Ministro Clini che ha recentemente dichiarato: “servirebbe orientare il supporto degli incentivi pubblici ad investimenti in tecnologie verso tecnologie energetiche innovative, comprese quelle rinnovabili, tenendo conto che in Italia abbiamo esperienze importanti”.
Tutto vero tranne che le esperienze che già ci sono sul territorio vengono abbandonate a loro stesse e che la legge ne sancisce la definitiva fine. Un esempio su tutti: l’ultimo decreto sulla limitazione degli impianti a terra ha stroncato, sul nascere, una delle tecnologie più innovative per lo sfruttamento ad alta potenza dei raggi del sole: il fotovoltaico a concentrazione
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