Salva Casa: è possibile presentare nuove istanze azzerando il pregresso?

Le disposizioni del Salva Casa cominciano ad essere interpretate dalla giurisprudenza amministrativa quali possibilità di azzerare le difformità (sostanziali o formali) rilevate per gli interventi edilizi, così da legittimare la presentazione di nuove istanze nei confronti della P.A.

Andrea Ferruti 04/10/24
Allegati

Fiumi di inchiostro, parafrasando la nota canzone vincitrice di un Festival di Sanremo, sono stati versati per sottolineare la differenza tra condono e sanatoria. Si segnala, tra le altre, la sentenza del Tar Calabria, sez. Reggio Calabria n. 2444/2024 di cui si riporta un estratto:

“… il condono edilizio è una misura straordinaria, che consente la regolarizzazione di opere realizzate, senza permesso, in violazione delle norme edilizie e urbanistiche e deve essere espressamente prevista dalla legge che fissa le condizioni e i termini perentori entro i quali richiedere la concessione del beneficio. La sanatoria edilizia, prevista dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, può invece essere concessa, dietro pagamento di una sanzione, in presenza del requisito della doppia conformità: l’opera realizzata senza permesso deve risultare conforme alle norme vigenti nel momento in cui è stata realizzata e a quelle vigenti nel momento in cui si richiede la sanatoria: in questo caso, l’opera non vìola le norme edilizie ed urbanistiche e, se fosse stato richiesto il permesso, sarebbe stata assentita.”

Tuttavia, di fronte alle disposizioni del cd. Salva Casa, ossia del D.L. 69/2024, convertito con modificazioni nella legge n. 105/2024, questa distinzione non sembra così netta. Ci sono infatti disposizioni che fissano condizioni e termini, basti pensare ad esempio all’art. 34-ter, Testo Unico Edilizia sulla possibilità di sanare le parziali difformità ante 1977, mentre è stata introdotta una forma temperata dell’accertamento di conformità nei casi previsti dall’art. 36-bis, T.U.E.

Ma non è questo il punto sul quale si rinvia agli altri contributi (non solo cartacei) della Maggioli. Quel che si vuole evidenziare è che le disposizioni del Salva Casa, sia pure a livello incidentale (cd. obiter dicta), cominciano ad essere interpretate dalla giurisprudenza amministrativa quali possibilità di azzerare le difformità (sostanziali o formali) rilevate per gli interventi edilizi, così da legittimare la presentazione di nuove istanze nei confronti della P.A.

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Salva Casa, le prime sentenze

S’intende far riferimento, l’avranno intuito i lettori, ai seguenti pronunciamenti del Consiglio di Stato: sentenza, sez. II, n. 7846/2024 (punto 21) che ha avuto larga eco nelle riviste on-line di settore, ordinanza, sez. VI, n. 5889/2024 (ultimi periodi) e sentenza, sez. II, n. 5666/2024 (punti 18 e 19).

In particolare, con la prima sentenza, il Consiglio di Stato ha ammesso la possibilità che, di fronte ad un ordine di ripristino o di demolizione degli abusi edilizi, il proprietario presenti una nuova istanza di sanatoria ai sensi del Salva Casa, che sospende tale ordine fino alla pronuncia del Comune.

A voler sviluppare il ragionamento del Consiglio di Stato nella sentenza n. 7486/2024, quindi, se il Comune dovesse accertare che il cambio di destinazione d’uso (o qualsiasi altro intervento) oggetto del contendere fosse conforme alla normativa sopravvenuta introdotta dal Salva Casa, il privato non sarebbe tenuto a ripristinare lo stato dei luoghi né a demolire le opere in precedenza considerate abusive, che ora diventerebbero sanabili.

È presto per dire se questo orientamento giurisprudenziale sarà confermato così da diventare “diritto vivente” ma, per gli operatori del settore (tecnici o giuristi), si è ritenuto utile segnalare questa possibilità.

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