Leggo con piacere e rammarico la notizia divulgata ieri da ANSA Terremoti, funzionano i primi modelli che li prevedono. Il piacere è nell’articolo, nel vedere come ci si dedichi con profitto alla sismologia, scienza tutto sommato molto recente. E il piacere è anche nell’onestà dei dati riportati; o meglio, nel dire “che siamo lontani anni luce da quello che si intende comunemente con il termine previsione”… Chapeau!
“[…] Funzionano i primi modelli per la previsione dei terremoti. Sebbene la strada sia ancora lunga forniscono probabilità accurate, come dimostrano i test della rete internazionale Csep, cui l’Italia partecipa con ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), accanto a California, Nuova Zelanda e Giappone. “Non siamo in grado di dire se domani ci sarà un terremoto, ma di calcolare delle probabilità”, ha detto all’ANSA il sismologo Warner Marzocchi, dell’Ingv.
Se le probabilità di un terremoto “sono del 5%, questo significa che in media una volta su 20 in quelle particolari condizioni ci sarà un terremoto”, ha spiegato Marzocchi. Ciò vuol dire, ha rilevato, che “siamo lontani anni luce da quello che si intende comunemente con il termine previsione, ma certamente siamo in grado di indicare come le probabilità cambiano nel tempo e nello spazio”. Da qualche anno i dati vengono trasmessi a livello sperimentale sia alla Commissione Grandi Rischi sia alla Protezione Civile. […]”
Il rammarico è, in parte, nel brutto titolo scelto dall’agenzia ANSA; chi si ferma a quest’ultimo capisce infatti che esistono alcuni modelli in grado di prevedere i terremoti.
Ma il rammarico è soprattutto nel constatare, ancora una volta, come nel nostro paese si lavori tanto sui numeri e poco sui fatti. Gli altri stati che affiancano l’Italia in questa ricerca (California, Nuova Zelanda e Giappone), oltre a studiare con dedizione il fenomeno “terremoto”, sono abbastanza pragmatici e cinici da constatare che, indipendentemente dal calcolo delle probabilità, la scossa prima o poi arriva; preso questo come dato di fatto, allora è necessario muoversi con urgenza sul patrimonio edilizio e infrastrutturale esistente. Ripeto, con urgenza.
In Italia no. In Italia ci proviamo, arranchiamo, siamo goffi…
Viviamo nella colpa di far crollare il nostro immenso patrimonio culturale arroccandoci dietro alla scusa di non poter intervenire per preservarlo. Non vogliamo sentir parlare di assicurazione sugli immobili ma paghiamo miliardi di accise ogni anno, istituite a partire dal 1968 per far fronte alle varie ricostruzioni. Abbiamo festeggiato per il Sismabonus ma ci abbiamo messo un anno e mezzo per capire che demolire e ricostruire costituisce una valida strategia per ridurre il rischio sismico su un edificio non adeguato (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 27 aprile 2018). Ecc … con noia.
La disparità è troppa tra le micro-percentuali degli studi dell’INGV e quello che potremmo/dovremmo fare anche senza conoscere nel dettaglio ogni singola scossettina.
Purtroppo, a oggi, i numeri dello studio riportato da ANSA possiamo usarli al massimo per giocarli al lotto; ma del resto, in un paese che fa cassa con il gioco d’azzardo non possiamo aspettarci di più, se non azzardare. Il banco vince.
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