L’equo compenso è contrario ai principi della concorrenza

I motivi dell’Antitrust: ecco perchè l’equo compenso va contro i principi della concorrenza e quindi va rimosso dal decreto fiscale

La norma introdotta dal Senato nel decreto fiscale sarebbe in contrasto con i principi della concorrenza e con i processi di liberalizzazione e l’introduzione nel decreto fiscale dell’equo compenso per tutte le professioni ostacola il processo competitivo e vanifica anche le riforme pro-concorrenziali introdotte di recente

Lo sostiene l’Antitrust in una segnalazione pubblicata sul Bollettino settimanale n. 45 di oggi. Qui puoi scaricare il bollettino dell’AGCOM sull’equo compenso. Eccone i passaggi salienti.

Equo compenso: perchè è contro la libera concorrenza?

L’art. 19 quaterdecies del ddl citato introduce, per tutte le professioni, una disciplina delle clausole vessatorie ulteriore sia rispetto a quella già prevista dal codice civile agli art. 1341 e 1342, sia rispetto a quella introdotta dalla legge 22 maggio 2017, n. 81 (Jobs Act).

La disciplina in questione introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra professionisti e i clienti che fissino un compenso a livello inferiore dei valori previsti nei parametri individuati dai decreti ministeriali sarebbero da considerare vessatorie. Inoltre, è altamente improbabile che i clienti accettino la fissazione di un compenso a livelli inferiori assumendosi, così, il rischio di vedersi contestare in corso d’opera o anche successivamente il mancato rispetto del principio dell’equità.

In definitiva, tramite la disposizione in esame viene sottratta alla libera contrattazione tra le parti la determinazione del compenso dei professionisti (ancorché solo con riferimento a determinate categorie di clienti). L’articolo, che tra l’altro ripresenta alcune disposizioni già inserite in Disegni di legge presentati alla Camera e al Senato, si pone, nel suo complesso, in contrasto con consolidati principi posti a tutela della concorrenza.

Secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, infatti, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione.

In quest’ottica, l’effettiva presenza di una concorrenza di prezzo nei servizi professionali non può essere collegata a una dequalificazione della professione, giacché, come più volte ricordato dall’Autorità, è invece la sicurezza offerta dalla protezione di una tariffa fissa o minima a disincentivare l’erogazione di una prestazione adeguata e a garantire ai professionisti già affermati sul mercato di godere di una rendita di posizione determinando la fuoriuscita dal mercato di colleghi più giovani in grado di offrire, all’inizio, un prezzo più basso.

Redazione Tecnica

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