Diniego di compatibilità paesaggistica con motivazione stereotipata: è illegittimo

La Soprintendenza, pur essendo titolare di un’ampia discrezionalità in materia, ha l’onere di corredare il provvedimento di diniego di ammissibilità paesaggistica di un’adeguata motivazione, riferita al concreto, alla realtà dei fatti e alle ragioni ambientali ed estetiche che impongono di escludere un determinato intervento

Mario Petrulli 17/06/24
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Secondo una giurisprudenza consolidata, «l’accertamento di compatibilità dell’intervento col contesto paesaggistico nel quale esso s’inserisce è il frutto di un giudizio sulla coerenza dell’opera rispetto al complesso degli elementi che compongono quel contesto e rispetto al quale il valore tutelato impone che essa non sia percepita come dissonante, con apprezzamento che si connota per la sua intrinseca opinabilità» e, di conseguenza, «una motivazione succinta può ben ritenersi legittima se rileva gli estremi logici dell’incompatibilità di un manufatto con il contesto tutelato».

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Comunque, affinché il diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria di opere realizzate in zone vincolate possa ritenersi sufficientemente motivato, è necessaria «l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo»[1] e, in particolare, la Soprintendenza, «pur essendo titolare di un’ampia discrezionalità in materia, ha l’onere di corredare il provvedimento di diniego di ammissibilità paesaggistica di un’adeguata motivazione, riferita al concreto, alla realtà dei fatti e alle ragioni ambientali ed estetiche che impongono di escludere un determinato intervento (Cons. Stato Sez. VI, 17/03/2020, n. 1903) o di limitarlo mediante prescrizioni»[2].

Indice

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Progettazione e trasformazioni in presenza di vincoli

I vincoli all’attività edificatoria sono tutto ciò che si affianca alle regole generali dell’edilizia contenute nel Testo Unico dell’Edilizia. I vincoli sono amici o nemici? La domanda è un po’ provocatoria ma serve ad introdurre un concetto: i vincoli spesso sono visti come mostri da cui difendersi, un po’ perché talvolta escono fuori all’improvviso, un po’ perché hanno spesso regole assai complesse o prevedono dei passaggi autorizzativi di cui si fatica a cogliere il senso. Questo manuale offre al tecnico uno strumento prezioso di conoscenza dei vincoli e della loro gestione in caso di progettazione di nuovi manufatti edilizi o di trasformazione degli esistenti. Tramite una trattazione chiara e rigorosa, l’Autore mostra operativamente come fare a verificare la presenza e predisporre la documentazione idonea da presentare per il rilascio delle autorizzazioni, argomento questo particolarmente complesso che il manuale affronta con taglio pratico, anche laddove occorra operare in accertamento di conformità (o “sanatoria”). Si tratta dunque di un’opera essenziale sia per il professionista privato che per gli operatori degli uffici tecnici della pubblica amministrazione e dalla cui lettura si potrà cogliere che “il vincolo” rappresenta anche un’opportunità di lavoro per il tecnico attento e scrupoloso. Marco CampagnaArchitetto libero professionista. Nel corso degli anni ha avuto modo di approfondire i temi dell’urbanistica applicata agli interventi edilizi, sia svolgendo pratiche in prima persona, sia operando come consulente o come perito, sia per conto di privati che per società, eseguendo parallelamente progettazioni e direzioni lavori per diversi interventi di recupero e di valorizzazione immobiliare. È satato componente della Commissione Urbanistica dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, formatore e docente in svariati corsi di aggiornamento e approfondimento professionale presso il medesimo Ordine e presso altre realtà.

Marco Campagna | Maggioli Editore 2023

Un esempio di motivazione stereotipata

Un caso concreto in cui la motivazione non è stata ritenuta sufficiente è stato oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Stato, sez. II, nella sent. 5 giugno 2024, n. 5046; nel caso specifico, in particolare, nel diniego l’Amministrazione ha confermato l’esistenza di motivi ostativi all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento «per localizzazioni, dimensioni, caratteristiche morfologiche, materiche e cromatiche», esprimendo quindi parere negativo «in quanto le opere non risultano compatibili paesaggisticamente con il contesto di inserimento e non risultano conformi alle disposizioni contenute nel Piano Paesaggistico della Regione Toscana e che, in considerazione del rilevante impatto le opere eseguite comportano una sostanziale alterazione dei valori paesaggistici costituenti la ragion d’essere del provvedimento di tutela».

Secondo i giudici di Palazzo Spada, una motivazione che nega la compatibilità paesaggistica con riferimenti generici a «localizzazioni, dimensioni, caratteristiche morfologiche, materiche e cromatiche» dell’opera deve considerarsi stereotipata, perché potrebbe astrattamente attagliarsi a interventi eterogenei, anche diversi da quello esaminato; al contrario, l’Amministrazione avrebbe dovuto specificare quali delle concrete caratteristiche dell’intervento (nel caso specifico, pannelli fotovoltaici installati su parte del tetto dell’edificio) comportassero un pregiudizio per i valori paesaggistici tutelati.

La rilevanza delle fonti rinnovabili di energia

La sentenza merita di essere segnalata anche per un altro aspetto peculiare, di estrema attualità, ossia la compatibilità paesaggistica degli impianti che producono energia pulita (ricordiamo che, nel caso specifico, l’intervento riguardava l’installazione di pannelli fotovoltaici).

Come osservato in giurisprudenza[3], «la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’eco-sistema», con la conseguenza che le motivazioni di un diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili «devono essere particolarmente stringenti, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica» (anche perché, se il giudizio di compatibilità paesaggistica si limitasse a rilevarne l’impatto nel contesto, «ogni nuova opera, in quanto corpo estraneo rispetto al preesistente quadro paesaggistico, sarebbe di per sé non autorizzabile») e occorre quindi «una più severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi – ivi compreso quello paesaggistico – alla realizzazione (o, come nel caso di specie, al mantenimento, trattandosi di un procedimento di sanatoria) di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile (nella specie da fonte solare)», ricordando anche che «la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici».

Questo orientamento, secondo i giudici di Palazzo Spada, merita di essere confermato anche alla luce del fatto che, come ricordato in più occasioni dalla Corte Costituzionale, la tutela dei diritti e dei valori riconosciuti e garantiti dalla Costituzione deve essere “sistemica e non frazionata”, evitando che uno di essi si erga a “tiranno” nei confronti degli altri[4], specialmente quando, come nella specie, si tratta di beni – l’ambiente e il paesaggio – aventi entrambi il medesimo rango di principi fondamentali, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione come integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, rilievo dal quale consegue che la Soprintendenza, nel perseguire la missione attribuitale dalla legge, non può esprimere una posizione “totalizzante” che sacrifichi interamente l’interesse ambientale indifferibile alla transizione ecologica[5].

Un altro caso di motivazione insufficiente

Un caso concreto di mancanza di idonea motivazione si è avuto anche nella sent. 20 aprile 2023, n. 214, del TAR Abruzzo, L’Aquila, nella quale oggetto del giudizio era il diniego, dinanzi alla progettata installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di un immobile, motivato dalla Soprintendenza nei termini seguenti: “si ritiene non compatibile con l’immagine tradizionale in coppi di laterizio. In ragione della particolare ubicazione dell’edificio e dell’orientamento della falda interessata, infatti, l’intervento risulterebbe notevolmente percepibile nonché rilevante paesaggisticamente in considerazione dei valori del paesaggio rurale e del paesaggio naturale sopra rappresentati”.

Secondo i giudici, il parere era illegittimo per un duplice ordine di motivi, visto che la Soprintendenza:

  • si era limitata a inferire, in via automatica ed apodittica, l’alterazione dell’equilibrio paesaggistico del contesto territoriale di riferimento dalla mera circostanza della prevista installazione di pannelli fotovoltaici, senza farsi carico del dovuto bilanciamento fra tutela paesaggistica ed esigenze di sostenibilità energetica;
  • anziché suggerire la praticabilità di soluzioni alternative al posizionamento dei pannelli fotovoltaici sulla falda di copertura che non interferiscano con le visuali panoramiche, ha espresso una valutazione radicalmente ostativa alla realizzazione dell’intervento progettuale ritenendo preclusa in assoluto l’installazione dei pannelli fotovoltaici ed invitando, di fatto, gli interessati ad optare per tecnologie e modalità di sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili diverse da quella solare che possano risultare paesaggisticamente meno impattanti.

Sembra assente, nella motivazione, una valutazione in concreto della compatibilità paesaggistica dell’intervento, dal momento che l’affermata non conformità dei pannelli fotovoltaici alla tutela paesaggistica sembra rinvenirsi prevalentemente nell’aspetto cromatico e nella “tradizionalità” delle coperture impiegate nella zona, di modo che l’introduzione di elementi “tecnologici” (quali gli impianti fotovoltaici) sarebbe inevitabilmente e, comunque, preclusa. Per l’effetto, viene prescritto non già l’impiego di un colore o di una forma maggiormente consoni al contesto, bensì di non utilizzare affatto i pannelli, in tal modo pervenendosi ad una conclusione basata su presupposti apodittici e generali, avulsi da una valutazione in concreto riferita allo specifico contesto paesaggistico[6].

Tra l’altro, nel caso specifico, i proprietari avevano individuato una soluzione che cercava di contemperare l’interesse generale alla tutela del paesaggio con l’interesse, altrettanto generale, allo sviluppo dell’uso di fonti energetiche rinnovabili, attraverso l’adozione di specifiche cautele tese a minimizzare l’impatto della installazione di che trattasi: il posizionamento parallelo alla falda di copertura; l’utilizzo di colorazioni dei materiali usati identico, o comunque compatibile, con quello della struttura della falda stessa; la caratteristica non riflettente degli stessi per mimetizzare al massimo l’impianto, riducendo così al minimo il suo impatto sulla struttura ed armonizzandosi con la stessa proprio in un’ottica di rispetto dell’area circostante.

Note

[1] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 21 novembre 2023, n. 9981.
[2] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 15 dicembre 2023, n. 10877.
[3] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 23 marzo 2016, n. 1201.
[4] Sentt. n. 264/2012, n. 85/2013, n. 10/2015, n. 58/2018, n. 2, n. 27 e n. 54/2022.
[5] In questi termini si v. anche Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 23 settembre 2022, n. 8167.
[6] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 29 marzo 2021, n. 296.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

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