Consumo di suolo, uno “spreco” non solo italiano

Terremoto, dissesto idrogeologico, cambiamento del microclima etc sono parole oramai all’ordine del giorno.

La domanda: Che cosa sta succedendo? oltre ad essere spontanea e legittima, è quanto mai di molteplice risposta. Tralasciando le profezie dei Maya o di Nostradamus, e passando ad aspetti più tecnici, si può iniziare a prendere seriamente in considerazione il soil sealing, tradotto impermeabilizzazione dei suoli attraverso la trasformazione di terreni prima allo stato naturale o seminaturale in terreni poi urbanizzati.

Uno dei modi più frequenti di “consumo del suolo”, di solito correlato alla diminuzione di Superficie Agricola Utilizzata (SAU), è quella dell’Urban Sprawl, cioè un’espansione urbana “a basa densità abitativa”, visibile nelle nuove periferie dei grandi centri europei, a spese delle aree agricole e naturalistiche circostanti.

Il soil sealing è un processo negativo in quanto comporta modifiche anche significative del paesaggio, che a loro volta possono innescare nuove (o modificare) dinamiche come lo smaltimento delle acque di origine meteorica, che si concentrano in pochi punti. Su bacini idrografici non estesi si verifica l’anticipo del punto di colmo nelle piene, ovvero un tempo di concentrazione minore e un aumento delle portate, generando situazioni critiche in punti anche lontani dall’area di nuova impermeabilizzazione e a distanza di tempo dalla realizzazione della stessa.

Uno studio presentato dalla Commissione Europea dimostra come il ritmo con cui il suolo vergine viene cementificato, e trasformato in strade, parcheggi ed edilizia di vario genere (che poi capita sovente resti invenduta o peggio non completata), supera i 250 ettari al giorno.

Il 50% di tale superficie diventa definitivamente impermeabile, visto che cemento, asfalto e altri materiali inerti non permettono il passaggio di liquidi, ovvero acqua piovana, portando quasi a zero lo scambio tra suolo e atmosfera. Tutto questo si trasforma in degrado del suolo, una delle problematiche “serie” a livello UE, dove alla riduzione della fertilità dei terreni seguono una minore capacità del suolo di assorbire l’acqua piovana, causa di smottamenti e frane, una minore traspirazione del terreno, che porta a cambiamenti nei microclimi locali (si pensi ai microclimi delle zone totalmente asfaltate dei grandi centri urbani), una frammentazione degli ecosistemi, con perdita della biodiversità e delle funzioni locali del terreno.

Il rapporto europeo elaborato dall’Agenzia Austriaca per l’Ambiente propone come affrontare il soil sealing ponendolo su 3 livelli:

1. Prevenire il processo di impermeabilizzazione attraverso interventi normativi sia a livello nazionale che locale (pianificazione urbana sostenibile, limiti di occupazione del suolo, sviluppo di aree già occupate, restrizioni dell’edificabilità in aree rurali, finanziare la dismissione di ex poli industriali etc).

2. Limitare gli effetti di processi inevitabili che portano alla perdita del terreno, sposando una progettazione di elevata qualità e sostenibilità, volta anche al restauro e al rispetto delle caratteristiche del suolo e all’applicazione di misure di mitigazione e conservazione delle funzioni del suolo, ad esempio mediante la progettazione di strati permeabili.

3. Compensare gli effetti delle opere esistenti con interventi in altri ambiti, individuare opportune e adeguate operazioni di compensazione.

Tali indicazioni sono completate da Best Practices osservate nei paesi membri.

In Italia la superficie non più naturale è pari al 7,3%, un’estensione pari all’Emilia Romagna o alla Toscana, tanto per avere un ordine di grandezza. La media europea si attesta al 4,3%.

Il presidente del consiglio scientifico del Louvre, Salvatore Settis, nel suo libro Paesaggio Costituzione cemento ha scritto: «… Vedremo quello che fu il Bel Paese sommerso da inesorabili colate di cemento».

Forse un po’ eccessiva come affermazione, ma non troppo se si pensa che fra il 2001 e il 2011 il consumo del suolo ha avuto un incremento dell’8,8%, rispetto ad un incremento della popolazione residente del 4,7% (la maggioranza immigrati).

Certo anche la superficie occupata dalle foreste è aumentata: 1,7 milioni di ettari in più rispetto all’inizio degli anni Novanta e rispetto al Dopoguerra è quasi raddoppiata. Consolazione parziale però, perché il tutto è avvenuto a discapito del terreno dedicato all’agricoltura. Fra il 1990 e il 2005 la superficie agricola utilizzata si è ridotta di circa 3,7 milioni di ettari, quindi se consideriamo quelli recuperati dalle foreste resta comunque una perdita di 2 milioni di ettari a sfavore della natura!

Fonti:
wikipedia
www.architetturaecosostenibile.it
Corriere della Sera – del 23/05/2012

Roberta Lazzari

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