Le distanze minime tra edifici sono regolate dall’articolo 9 del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 che stabilisce le distanze minime tra edifici per le diverse zone territoriali omogenee.
Per i nuovi edifici ricadenti al di fuori dei centri storici (zone A) il provvedimento prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
La regola delle distanze minime tra edifici prevista dalla norma vale anche in presenza di balconi prospicienti l’edificio da realizzare.
Nel merito la giurisprudenza viene chiamata spesso a verificare la legittimità dei titoli edilizi rilasciati per la realizzazione di fabbricati, in relazione alle disposizioni che disciplinano le distanze minime tra edifici di cui all’art.9 del citato decreto interministeriale n.1444 del 1968.
La distanza minima fissata dall’articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444 di 10 metri dalle pareti finestrate è volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione luminosità e altro. Trattasi certamente di una norma che in ragione delle prevalenti esigenze di interesse pubblico testé indicate ha carattere cogente e tassativo, prevalendo anche sulle disposizioni regolamentari degli enti locali che dispongano in maniera riduttiva. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4374).
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In un caso specifico, i Giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che la condizione indispensabile per potersi applicare il regime garantistico della distanza minima tra edifici dei dieci metri di cui all’art. 9 del D.M. n.1444 del 1968 volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, è data dal fatto che esistano due pareti che si contrappongono di cui almeno una finestrata. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1670).
Anche se i balconi delle abitazioni – sia pure per un lato limitato, quello minore- offrono la possibilità di affacciarsi sullo spazio che intercorre col fabbricato erigendo e anche se la distanza dell’erigendo edificio (inferiore ai dieci metri) provoca violazione della regola della distanza minima posta dal citato articolo 9, nella specie si è di fronte a un posizionamento dei due fabbricati tale da non influire sulle finalità igienico-sanitarie. In concreto, quindi, le due pareti fronteggianti in realtà sono costituite da muri ciechi, privi di aperture finestrate.
Le aperture costituite dai balconi sono posizionate sul lato antistante le abitazioni, che corre in modo perpendicolare al vicino edificio, e non sulla parte che fronteggia il fabbricato oggetto del titolo ad aedificandum e sono queste le aperture che consentono alle abitazioni di usufruire delle condizioni di areazione e luminosità.
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