Il delicato tema delle morti da amianto torna sulle prime pagine dei giornali alla luce del deposito (avvenuto questa settimana) della sentenza 11128/15 della Cassazione Penale, IV sezione. Nella sentenza viene confermata la linea del rigore in materia: infatti, con riferimento al datore di lavoro, al fine di evitare la condanna per omicidio colposo non basta che quest’ultimo si sia adeguato alle norme preventive vigenti dell’epoca dei fatti. Sono infatti richieste “ulteriori misure preventive” idonee a salvaguardare la salute del lavoratore.
La sentenza qui citata riguarda il ricorso di 5 ex dirigenti dello stabilimento di Palermo della Fincantieri-Cantieri Navali Italiani spa.
Nelle sentenze di merito di primo e secondo grado (risalenti al 2010 e al 2012) e relative a fatti avvenuti molti anni fa (come accade di consueto per le patologie legate all’amianto) i giudici avevano accertato la responsabilità omissiva degli imputati per 43 decessi e per 19 casi di lesioni personali gravi o gravissime. Tra le questioni sollevate dalla difesa nel giudizio di legittimità, emergevano l’alternatività della causa (secondo cui l’innesco della patologia sarebbe stato possibile anche in ambito extra-lavorativo con esposizione a basse dosi e per l’abitudine al fumo di sigaretta) e la questione del momento esatto dell’insorgenza della malattia, da individuare nella comparsa della prima cellula cancerosa.
Su entrambi i punti la Cassazione non ha avuto esitazioni, posizionandosi all’interno del percorso di una giurisprudenza consolidata: “Le patologie tumorali (sia il carcinoma polmonare che il mesotelioma) devono considerarsi dose-correlate nel senso che il loro sviluppo, in termini di rapidità e gravità, appare condizionato dalla quantità di sostanza cancerogena inalata dal soggetto”. Pertanto non è dirimente individuare la “dose innescante” quanto le esposizioni successive che, in sostanza, accorciano la latenza della malattia portandola agli esiti infausti del suo normale decorso.
Va sottolineato a tal riguardo che le polveri contenenti fibre d’amianto, respirate, possono causare gravi patologie, l’asbestosi per importanti esposizioni, tumori della pleura (il mesotelioma pleurico) ed il carcinoma polmonare.
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Per ciò che concerne il nesso di causalità tra omessa adozione di misure protettive idonee e il decesso del lavoratore, la Corte evidenzia che questo sussiste ogni volta che deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa (ovverosia l’adozione di misure di protezione) “avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza”.
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