Grande risalto ha avuto in questi giorni la notizia del risarcimento INAIL alla madre di Matteo Armellini, il giovane lavoratore di 31 anni morto il 5 marzo scorso a Reggio Calabria durante l’allestimento del palco per il concerto di Laura Pasini. La notizia ha suscitato clamore e sdegno per il coinvolgimento di un giovane lavoratore di soli 31 anni, morto sul lavoro, e per l’esiguità della cifra corrisposta dall’INAIL – € 1936,80 – alla madre del giovane Armellini.
Le polemiche successive denunciavano la dignità umana calpestata e il costo irrisorio della vita facendo leva sulla terribile vicenda di una madre che, per la morte sul lavoro dell’unico figlio, vede recapitarsi un assegno INAIL di circa duemila euro in acconto con la precisazione che il saldo non sarà di molto superiore.
A seguito dello sdegno e delle proteste per la presunta insensibilità dell’INAIL, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ha emanato un comunicato per spiegare il comportamento assunto e i vincoli di legge entro cui si è mosso. Come spiegato dalle parole del direttore centrale Luigi Sorrentini, l’INAIL ha versato la somma alla madre di Matteo Armellini non come “[..] risarcimento per la perdita del figlio, ma [come] contributo alle spese per il funerale che l’INAIL eroga ai familiari di tutti i lavoratori deceduti. [..]”.
Inoltre ha spiegato Sorrentini “[..] Lo scopo della legge [..] non è quello di risarcire i familiari del danno derivato dalla morte del lavoratore, quanto piuttosto di offrire ai superstiti i mezzi di sostentamento venuti a mancare dopo la sua morte“.
“Nel caso di Matteo Armellini [..] non è risultato che contribuisse al mantenimento della madre, alla quale abbiamo potuto erogare soltanto l’assegno funerario una tantum di 1936,80 euro. [..]”.
La prima considerazione che nasce mostra come la legge sia modellata su una realtà sociale e lavorativa che non esiste più, che è cambiata strutturalmente e da tempo. La norma a cui rimanda l’INAIL fa riferimento ad una società vicino alla piena occupazione, con forti prospettive di crescita professionale, con nuclei familiari dove i figli potevano, se volevano, sposarsi e mettere su famiglia in modo agevole, con il lavoro femminile non esteso come oggi e con pensioni di anzianità generose. Una società in crescita.
Una realtà sociale differente dall’attuale dove non esiste più la piena occupazione, perlomeno nei termini conosciuti negli anni passati, le scarse possibilità di lavoro rallentano e ostacolano il mettere su casa e famiglia, la convivenza con i genitori ben oltre l’età scolare è diventata una semplice necessità per sopravvivere, il lavoro femminile è esteso anche se non ben retribuito e le pensioni sono state ritoccate nella loro generosità. Una società che rivisita il proprio modello di sviluppo. Una norma con presupposti disallineati rispetto alla società che sta cambiando e velocemente e su cui vuole intervenire.
Una norma a cui occorre mettere mano
Ad esempio sono cambiate le condizioni di crescita delle retribuzioni. Ad un inizio dignitoso seguivano aumenti retributivi che garantivano un tenore di vita decoroso se non agiato. E l’intervento INAIL successivo, se necessario, era rapportato a ciò.
La donna difficilmente lavorava fuori casa e l’intervento INAIL di risarcimento per la perdita della fonte di sostentamento ovvero di un congiunto era rapportato a questo.
In sintesi la morte del povero Armellini – avendo una bassa retribuzione e vivendo con la madre che percepiva la pensione minima – ha evidenziato la necessità di revisionare la norma che nata per tutelare chi subiva le pesanti conseguenze di una morte/infortunio sul lavoro si è dimostrata invece inadatta soprattutto quando più necessaria.
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