Nel Decreto Crescita, per Ecobonus e Sismabonus, ci sarà (forse) la possibilità, per chi sostiene le spese, di ricevere un contributo, anticipato dal fornitore che ha fatto l’intervento, sotto forma di sconto sul corrispettivo spettante. Il contributo sarà rimborsato al fornitore, come credito d’imposta, e sarà da utilizzare in compensazione, in cinque quote annuali uguali, senza l’applicazione dei limiti di compensabilità.
Lo prevede, appunto, la bozza del Decreto Crescita datata 2 aprile 2019, all’articolo 9 recante “Modifiche alla disciplina degli incentivi per i lavori di efficienza energetica e rischio sismico”. La bozza è stata discussa dal Consiglio dei Ministri ieri pomeriggio.
Gli interventi interessati sono quelli per le detrazioni Ecobonus e Sismabonus: interventi di efficienza energetica di cui all’articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013 n. 63 e interventi antisismici di cui all’articolo 16 del D.L. 4 giugno 2013 n. 63.
L’obiettivo è incentivare la realizzazione di interventi di efficientamento energetico e di prevenzione del rischio sismico, superando alcuni “intoppi” operativi riscontrati nel funzionamento della detrazione fiscale: si ipotizza che la disposizione determini un incremento pari all’1% delle spese annue sostenute per gli interventi e he un ulteriore 1% sia relativo alle spese agevolate dalla legislazione vigente.
A questo proposito, riportiamo di seguito l’interessante riflessione di Virginio Trivella Coordinatore del Comitato tecnico scientifico di Rete Irene, del 3 aprile 2019. Lo riportiamo intereamente perché ci sembra una riflessione interessante.
Trivella sostiene che, nelle intenzioni, il provvedimento dovrebbe renderne più semplice l’applicazione e fornire maggiore stimolo alle attività e un contributo alla crescita. Ma, continua Trivella:
“A nostro parere, la formulazione adottata non contribuisce affatto a semplificare e, al contrario, è in grado di indurre gravi problemi di aspettative erronee, elusione fiscale, concorrenza sleale e genererà un’eccessiva concentrazione del mercato. L’approvazione del provvedimento causerà confusione, incertezza e rischio di una gran quantità di contenzioso futuro con l’Agenzia delle entrate determinando, per di più, un aggravio per la sostenibilità dei flussi del bilancio pubblico a parità di attività incentivate. Anziché contribuire alla crescita e alla tutela dell’ambiente, si può prevedere un rallentamento delle decisioni di investimento e una contrazione delle attività. Vediamo perché.
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Decreto Crescita: cosa dice su Ecobonus e Sismabonus
Il Decreto Crescita (schema 2 aprile 2019, art. 9) introduce la facoltà di optare, in luogo dell’utilizzo diretto delle detrazioni per gli interventi di efficienza energetica (di cui all’art. 14 del decreto-legge 6 giugno 2013, n. 63) e di adozione di misure antisismiche (di cui all’art. 16 dello stesso decreto-legge), per un contributo di pari ammontare, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi. Lo sconto concesso dal fornitore viene a quest’ultimo rimborsato sotto forma di credito d’imposta da utilizzare in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza l’applicazione dei limiti ordinariamente applicabili.
La finalità di tale provvedimento è di produrre una significativa semplificazione del modello di incentivazione vigente (cfr. versione preliminare della bozza di decreto), superando alcune criticità operative riscontrate nel funzionamento dello strumento della detrazione fiscale (cfr. relazione illustrativa allegata all’ultima versione).
Premesso che il sistema di incentivazione vigente ha mostrato negli ultimi mesi di essere passato dalla fase di sperimentazione a quella della piena operatività, dopo un lungo periodo di stasi dovuto anche alle varie modifiche della prassi introdotte dai provvedimenti dell’Agenzia delle entrate, e che di conseguenza non si sente alcuna esigenza di introdurre un nuovo meccanismo alternativo a quello vigente, le finalità della semplificazione e della crescita sono senza dubbio apprezzabili, ma devono essere segnalate le tante criticità che emergerebbero con l’approvazione del provvedimento.
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Aspettative, elusione fiscale, concorrenza sleale
I nuovi commi 3.1 e 1-octies – aggiunti rispettivamente all’art. 14 (relativo all’ecobonus) e all’art. 16 (relativo al sismabonus) del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 – introducono una nuova modalità di trasferimento dei crediti d’imposta, generati dalla realizzazione delle attività incentivate, dai soggetti aventi diritto ai fornitori che le hanno effettuate. Tale nuova modalità è distinta e alternativa rispetto alla facoltà di cessione dei crediti già consentita dai commi 2-sexies (per l’ecobonus) e 1-quinquies (per il sismabonus) degli articoli sopra menzionati.
Gli effetti del trasferimento del credito d’imposta operato con le due modalità alternative sono gli stessi: il soggetto cedente si spoglia definitivamente del diritto di compensare l’incentivo con i propri debiti fiscali provvedendo con ciò al parziale pagamento del corrispettivo dei lavori, mentre il fornitore cessionario subentra nella piena titolarità del credito fiscale. Vi sono tuttavia alcune differenze rilevanti:
– il vigente meccanismo di cessione prevede, oltre al trasferimento della titolarità del credito d’imposta dal soggetto avente diritto a un nuovo soggetto, anche la facoltà per quest’ultimo di cedere successivamente il credito a un altro soggetto; il nuovo meccanismo proposto nello schema di decreto-legge non prevede la facoltà di ulteriore cessione;
– il fornitore che con il nuovo meccanismo diviene titolare dei crediti d’imposta li utilizza in compensazione in cinque quote annuali di uguale importo, mentre con il previgente sistema la durata di fruizione dei crediti fiscali è la stessa riservata al cedente originario: cinque anni per il sismabonus, dieci per l’ecobonus e per gli interventi combinati energetici e sismici.
La conseguenza combinata di queste caratteristiche del nuovo sistema di trasferimento dei crediti fiscali lascia individuare agevolmente quali categorie di soggetti saranno in grado di farne uso:
– non saranno le imprese (edili, di installazione di impianti, o aventi attività integrata), che non possiedono la capienza fiscale sufficiente per assorbire i crediti fiscali trasferiti e che, per attivare un volume significativo di operazioni, necessitano obbligatoriamente di disporre della facoltà dell’ulteriore cessione, non prevista dal nuovo meccanismo;
– non saranno le ESCo, per lo stesso motivo;
– potranno essere solo le maggiori utilities dotate di sufficiente capienza fiscale e operanti nel settore dell’energia.
I pochi soggetti sopra individuati saranno pertanto i soli a beneficiare del duplice effetto del provvedimento: la canalizzazione solo verso di essi delle attività promosse dal nuovo meccanismo (di applicazione solo apparentemente più semplice rispetto a quello vigente, ma su questo punto occorre tornare) e il minor costo finanziario connesso al periodo di compensazione fiscale dimezzato (per l’ecobonus e per gli interventi combinati).
Non è difficile intravvedere un problema di esigenza di tutela della concorrenza, ulteriormente aggravato dalla concentrazione delle attività a favore di pochissimi soggetti che, in linea di principio, devono gestire una situazione di conflitto d’interessi ma che, nonostante ciò, vengono posti da questo provvedimento in condizioni di rilevante vantaggio competitivo rispetto ad altri operatori – come le imprese e le ESCo – liberi da condizionamenti e in grado di formulare proposte tecniche orientate alla massima efficacia nella riduzione dei consumi di energia.
Per superare questo problema sarebbe sufficiente porre tutti gli operatori sullo stesso piano, prevedendo anche per il nuovo meccanismo la facoltà di ulteriore cessione.
Contributo “di ammontare pari” alle detrazioni: quali problemi?
La formulazione del testo adottata nello schema di decreto presenta un altro aspetto critico rilevante, laddove precisa che la nuova opzione disponibile per i soggetti aventi diritto agli incentivi consiste nell’optare per un contributo, anticipato dal fornitore che ha effettuato l’intervento, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, di ammontare pari alle detrazioni generate dall’attività realizzata.
È evidente che tale formulazione è in grado di generare nei soggetti aventi diritto (proprietari, condòmini) la legittima aspettativa di poter ottenere uno sconto di importo pari al valore dell’incentivo e di dover sostenere esclusivamente la differenza non coperta dal medesimo. Tale aspettativa è però in contrasto con la posizione dell’Agenzia delle entrate in merito alla detraibilità degli oneri finanziari.
L’Agenzia si è espressa varie volte sul tema, sempre negando che gli oneri sostenuti a fronte delle anticipazioni finanziarie necessarie per la realizzazione degli interventi possano essere inclusi tra le spese incentivate, generando essi stessi un incremento degli incentivi erogati dallo Stato:
– nella Circolare del 24 febbraio 1998 n. 57 si legge che “non rientrano, invece, tra le spese che danno diritto alla detrazione, gli interessi passivi pagati per mutui (o anticipazioni, scoperti di conto corrente, etc) eventualmente stipulati per sostenere le spese per gli interventi di recupero edilizio”
– nella Circolare del 23 aprile 2010 n. 21/E si precisa che “nell’ipotesi in cui gli interventi agevolati siano eseguiti mediante contratti di locazione finanziaria; in tal caso la detrazione spetta all’utilizzatore ed è determinata in base al costo sostenuto dalla società concedente; non rilevano, pertanto, ai fini della agevolazione, i canoni di leasing addebitati al soggetto utilizzatore”, con ciò confermando che gli interessi e le commissioni addebitate dal soggetto finanziario non rientrano tra le spese che generano gli incentivi.
Il caso specifico del trattamento degli oneri finanziari addebitati dai soggetti cessionari ai soggetti cedenti in relazione alle operazioni di trasferimento dei crediti d’imposta non è ancora stato oggetto di pronunciamento da parte dell’Agenzia delle entrate ma, a meno di una esplicita norma di legge che affermi il contrario (non presente nel “Decreto Crescita”), (nota 1) è plausibile che la sua posizione rimarrà immutata e che anche il costo dell’attualizzazione dei crediti d’imposta resterà, al pari degli interessi per i prestiti bancari, escluso dalle spese che generano incentivi fiscali.
La conseguenza di tutto ciò è che, per poter essere conforme alla posizione dell’Agenzia, l’operazione di cessione del credito (in qualunque forma essa avvenga, inclusa la nuova modalità che il decreto intende introdurre) deve necessariamente:
– porre in evidenza il valore attuale del credito ceduto e, per differenza, la quota di oneri finanziare da sostenere per la sua attualizzazione;
– mettere a carico del cedente tale ammontare, in aggiunta alla parte di corrispettivo non coperta dall’incentivo.
Considerata la durata dell’anticipazione si può pacificamente escludere che l’attualizzazione possa avere un costo nullo. Di conseguenza la pratica adottata da alcuni operatori, che consiste nell’incrementare il corrispettivo degli interventi al fine di ottenere una detrazione fiscale artificiosamente maggiorata da utilizzare per dissimulare l’entità degli oneri finanziari e di non porli a carico dei soggetti cedenti(facendo pagare esclusivamente la quota non coperta dall’incentivo) è evidentemente elusiva e passibile di ripresa fiscale.
Per questo motivo corre l’obbligo di evidenziare l’inopportunità di adottare, nel provvedimento, una formulazione così fuorviante, tale da generare nei contribuenti aspettative errate e da indurre gli operatori più spregiudicati ad attuare pratiche elusive quando non fraudolente e di concorrenza sleale, che in futuro genereranno una sicura mole di contenzioso fiscale.
Soluzione?
Sarebbe allora sufficiente sostituire le parole “il soggetto avente diritto alle detrazioni può optare, in luogo dell’utilizzo diretto delle stesse, per un contributo di pari ammontare” con le parole “il soggetto avente diritto alle detrazioni può optare, in luogo dell’utilizzo diretto delle stesse, per un contributo pari al suo valore attuale”.
Il nuovo meccanismo non porterà semplificazione
Ma a prescindere dalle criticità già evidenziate, bisogna sottolineare che, nel caso degli interventi in edifici condominiali, il nuovo meccanismo di trasferimento degli incentivi non sembra in grado di semplificare alcunché se resta vigente la facoltà dei singoli condòmini di decidere autonomamente se trasferire o meno l’incentivo corrispondente alla propria quota di proprietà.
Poiché è poco plausibile che un provvedimento di legge possa rendere cogente per tutti i condòmini la volontà espressa non all’unanimità di trasferire i crediti d’imposta al fornitore (e infatti lo schema di decreto non lo prevede), la complessità connessa alla gestione burocratica del trasferimento dei crediti di pertinenza dei singoli condòmini resterebbe immutata. In assenza di tale semplificazione, far sorgere il credito direttamente in capo al fornitore anziché in seguito a una cessione risulta privo di effetti pratici.
Soluzione?
Una semplificazione potrebbe ottenersi qualora il provvedimento stabilisse che, in caso di delibera assembleare assunta all’unanimità, il credito d’imposta può sorgere direttamente in capo al fornitore. Si tratterebbe però di casi limitati, che sicuramente non giustificano l’introduzione di un modello di trasferimento alternativo a quello vigente.
Un altro profilo di complessità potrebbe essere risolto consentendo di attuare il trasferimento dei crediti d’imposta in capo ai soggetti finanziari che forniscono la provvista necessaria per la realizzazione degli interventi. Ma anche questa ipotesi, espressamente vietata dall’attuale formulazione del meccanismo incentivante, non è proposta nello schema di decreto, anche se periodicamente viene proposta dalle forze politiche di ogni colore.
Confusione, incertezza e rischio contenziosi
Un’ultima – ma non meno grave – conseguenza della formulazione adottata nello schema di decreto è l’incertezza che essa generebbe e il freno che, per un periodo plausibilmente non breve, sarebbe posto alle decisioni di investimento, in netto contrasto con la finalità del provvedimento.
Emendato in modo tale da superare le gravi criticità evidenziate, il meccanismo alternativo di trasferimento dei crediti fiscali sarebbe quasi identico a quello già vigente; la sua introduzione, non motivata da una significativa differenziazione, creerebbe confusione e incertezza in attesa del provvedimento dell’Agenzia delle entrate che dovrà definire i dettagli del suo funzionamento.
Se, al contrario, il decreto fosse approvato nella sua formulazione attuale, è probabile che in futuro si dovrà fronteggiare una gran quantità di contenzioso fiscale, per i motivi già illustrati.
Tutto questo potrebbe essere evitato in modo molto semplice, introducendo alcuni correttivi al meccanismo vigente ed evitando di aggiungerne uno concorrente.
Le proposte di Rete Irene
Così come è formulato il provvedimento rischia di generare una grave esigenza di tutela della concorrenza, alimentando l’insorgere di aspettative erronee, elusione fiscale, concorrenza sleale, mancando l’obiettivo della semplificazione e della crescita, e avendo come unico effetto quello di indurre la concentrazione delle attività in capo a pochi soggetti economici.
L’obiettivo della semplificazione e dello stimolo della crescita, nonché della maggiore diffusione degli interventi di riqualificazione energetica particolarmente virtuosi (in coerenza con gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) potrebbe essere perseguito modificando il meccanismo di incentivazione vigente:
– stabilendo che in caso di delibera assembleare a favore della cessione dei crediti d’imposta, assunta all’unanimità, il credito sorge direttamente in capo al fornitore;
– riservando la riduzione del numero di quote annuali di credito d’imposta agli interventi particolarmente virtuosi, la cui definizione dovrebbe essere demandata a un decreto da emanare entro pochi mesi.
Ma anche senza l’introduzione di questi miglioramenti del meccanismo vigente, sarebbe inutile e dannoso introdurne un altro, per tutti i motivi sopra evidenziati.
Effetti su economia e ambiente? Modesti
Si deve sottolineare infine che gli effetti di stimolo del provvedimento sono oltremodo modesti. Si legge infatti nella Relazione tecnica che “ai fini della stima si ipotizza che l’emendamento determini un incremento pari all’1% delle spese annue sostenute per gli interventi in oggetto e si ipotizza che un ulteriore 1% sia relativo alle spese agevolate dalla legislazione vigente”. Tali percentuali corrispondono a uno stimolo, in termini di attività annua incrementale (“crescita”), dell’ordine di qualche decina di milioni di euro. Gli effetti finanziari conseguenti sono dell’ordine, irrilevante, di qualche milione di euro all’anno.
Gli effetti sull’occupazione e sul perseguimento degli obiettivi ambientali sono praticamente nulli. Effetti di stimolo di gran lunga più rilevanti potrebbero invece essere ottenuti eliminando le restrizioni alla fruizione dell’ecobonus operate in via interpretativa dall’Agenzia delle entrate nei confronti dei soggetti imprenditoriali, in relazione agli immobili non direttamente utilizzati nell’ambito della propria attività (per es. tutti gli immobili, anche residenziali, ceduti in locazione).(nota 2)
Un esplicito abbandono di tali restrizioni stabilito dal Decreto Crescita potrebbe attivare rapidamente e in quantità rilevante un segmento (svincolato dalle estenuanti lentezze delle assemblee condominiali) che è ancora ai margini delle attività di riqualificazione energetica e che potrebbe fornire un forte contributo all’obiettivo della crescita, in coerenza con gli obiettivi del decreto e del PNIEC.
Note
(1) Data una quantità di risorse (in termini finanziari e/o di capienza fiscale), il conflitto è tra investire le risorse strettamente necessarie per accedere agli incentivi massimizzando la quantità di clienti fidelizzati, oppure investire le risorse necessarie per massimizzare la riduzione delle emissioni minimizzando la quantità di energia venduta).
(2) A causa di un’interpretazione restrittiva dell’Agenzia delle entrate (Risoluzione del 15 luglio 2008 n. 303/E) l’accesso all’ecobonus è consentito ai titolari di reddito d’impresa con esclusivo riferimento agli immobili strumentali da essi utilizzati nell’esercizio della loro attività imprenditoriale. È invece negato per tutti gli altri immobili, compresi tutti quelli concessi in uso a terzi e per i cosiddetti “immobili merce”.
Alla luce di tutte le innovazioni legislative degli ultimi anni, orientate verso la più ampia diffusione dell’efficienza energetica, e delle precisazioni più recenti dell’Agenzia coerenti con tale orientamento, la limitazione appare ancora più anacronistica e in contraddizione non solo con gli obiettivi della legge e del PNIEC ma, addirittura, con la posizione della stessa Agenzia in senso favorevole per quanto riguarda il sismabonus.
di Virginio Trivella, Coordinatore del Comitato tecnico scientifico di Rete Irene (Imprese per la Riqualificazione ENergetica degli Edifici)
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