Sul ritorno di fiamma della riforma del catasto, Confedilizia ha fatto uscire un comunicato stampa pieno di perplessità: “Leggiamo sulla stampa che il Governo Gentiloni starebbe pensando di riesumare quella riforma del catasto che il Governo Renzi aveva ritirato, nel giugno del 2015, perché non forniva adeguate garanzie di invarianza di gettito, aprendo all’opposto uno scenario di ulteriori aumenti di tassazione sugli immobili, mascherati attraverso improbabili redistribuzioni.
Quella legge delega è scaduta e non è certo questo il momento per iniziare un nuovo percorso, checché ne dica la Commissione europea, che inserisce pigramente il tema catasto nelle sue rituali raccomandazioni copia e incolla, senza avere un minimo contatto con la realtà. Per il settore immobiliare l’urgenza non è la riforma del catasto, ma una decisa riduzione di un carico fiscale che dal 2012 è stato quasi triplicato e che continua a causare danni incalcolabili a tutta l’economia: crollo dei valori, impoverimento, caduta dei consumi, desertificazione commerciale, chiusura di imprese, perdita di posti di lavoro. Dovrebbe essere questa la priorità di un Governo responsabile”.
Come abbiamo detto in un articolo precedente, per ottenere le rendite catastali ai valori catastali di mercato Omi verrà applicato un algoritmo che definirà le nuove rendite e i nuovi valori catastali.
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Oggetto della Riforma del Catasto sarà dedicato a chi vorrà contestare gli importi attribuiti, che potrà farlo in autotutela o presentare un ricorso vero e proprio al giudice tributario o presso gli uffici delle Entrate. Il Tar si occuperà solo delle questioni di legittimità.
Il nodo centrale è quello dell’invarianza di gettito: i valori di mercato, che rappresentano la base di partenza, elimineranno le sperequazioni, almeno in parte. Non dovrebbe più accadere che un appartamento nel centro di Milano abbia una rendita assai inferiore di uno in periferia solo perché nel 1940 gli è stata attribuita una categoria catastale che ormai non corrisponde più alla realtà. I valori e le rendite catastali aumenteranno a dismisura: questa è la conseguenza della revisione. Chi garantisce che i Comuni, una volta in possesso dei nuovi valori catastali, e quindi delle nuove basi imponibili, non usino per gonfiare l’Imu?
L’esempio riportato dal Sole 24 Ore è perfetto. “Un immobile-tipo di 91 metri quadrati, corrispondenti mediamentea 5 vani catastali, attualmente inseriti nella categoria catastale A3, classe media-alta, in buono stato, edificati meno di 20 anni fa e localizzati nel semicentro cittadino. Il nuovo valore patrimoniale è calcolato nell’ipotesi che gli estimi catastali saranno allineati al 100% del valore di mercato. La nuova rendita catastale è calcolata utilizzando il valore locativo Omi detraendo il 35% per spese conservazione, manutenzione, amministrazione, eccetera, a carico della proprietà. Ebbene, a Bari si registrerebbe un incremento del valore catastale (cioè della base imponibile anche ai fini Imu) del 10%, a Bologna del 78%, a Cagliari del 182%, a Firenze del 75%, a Genova del 126%, a Roma del 92%, a Milano del 95%, a Napoli del 117%, a Torino del 70%”.
Detto questo, è chiaro che viene qualche dubbio sul principio dell’invarianza di gettito, principio che però è sancito nel decreto legislativo. Il Governo Renzi aveva ritirato la Riforma perché non garantiva l’invarianza di gettito e avrebbe aumentato la tassazione sugli immobili.
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