Alla Camera si parla di Jobs Act ma non di Partite IVA

Il Jobs Act, in vigore dal 21 marzo, cambia le regole del mondo del lavoro dipendente. Nei giorni scorsi si era registrata agitazione per le dichiarazioni della minoranza Pd, contraria alle novità introdotte sul fronte dell’apprendistato e delle proroghe, passate da tre a otto e, infine, in sede di esame in Commissione, ridotte a cinque, nell’arco dei tre anni. Il governo ha deciso di porre la questione di fiducia sul testo, arrivato oggi alla Camera. Il Nuovo Centrodestra ha già annunciato di non votare la fiducia sul testo. Una modifica apportata dalla Commissione riguarda il ripristino dell’obbligo di stabilizzazione per gli apprendisti, fissato al 20% dalla riforma Fornero e inizialmente cancellato dalla prima versione del decreto, poi ripristinato.

Insomma, tutte novità che riguardano i dipendenti e quindi possono riguardare anche gli Studi Professionali o le Imprese edili, ma nessuna novità per le partite IVA. Sin da quando si parla di Jobs Act infatti si sono sollevate le proteste contro la mancata considerazione data ai lavoratori autonomi e anche, quindi, ai professionisti, esclusi dalla riforma del Lavoro del Governo Renzi: in tutto 3.390.101 persone tra lavoratori discontinui, iscritti esclusivi alla gestione separata Inps e lavoratori autonomi individuali la somma è davvero preoccupante.
Alta Partecipazione presentò a metà marzo, in alternativa al Job Act, l’Another Act contenente quattro azioni in cui a maggiori benefici per le imprese corrisponda una maggiore responsabilità nei confronti della comunità che li mette a disposizione: il Contratto d’Inclusione, l’Indennità di disoccupazione universale, l’Equo compenso e il Servizio per il Lavoro.

Fino a oggi, giorno di discussione alla Camera del Jobs Act, nessuna novità per gli autonomi.

Il popolo delle Partite Iva si compone di liberi professionisti e di migliaia di giovani che, per fronteggiare la crisi economica e la scarsità di lavoro a tempo indeterminato, hanno scommesso su se stessi e sulle proprie capacità contribuendo ogni giorno alla crescita e allo sviluppo del Paese. Una percentuale considerevole e non marginale della popolazione, esclusa dall’ultimo decreto lavoro.

Facciano un rapido riepilogo delle altre novità principali, per i dipendenti.

Con il Jobs Act cambiano in particolare le regole su apprendistato e necessità di causale inerente la formulazione del contratto di lavoro, che non è obbligatoria. La causale che fino a ieri era richiesta per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, da oggi non sarà più necessaria per stipulare un nuovo rapporto di lavoro a termine. I contratti di lavoro a termini non potranno superare, d’ora in avanti, il limite del 20% (prima cancellato poi reinserito) dei contratti realizzati in azienda.

Il Jobs Act rende possibile prorogare fino a 5 volte (questo riguarda la seconda modifica: da 3 volte si era passati a 8 poi, appunto a 5), pur rimanendo entro il limite massimo dei tre anni, l’attività alla base della formulazione contrattuale (fino a ieri si poteva prorogare una sola volta, sempre entro i tre anni, dopodiché il datore di lavoro era obbligato a scegliere se assumere il lavoratore o interrompere il rapporto). Oggi la facoltà diventa previsione universale, reintroducendo la modalità di assunzione a tempo determinato senza obbligo di causale.

Il Jobs Act introduce alcune importanti novità sull’ottica della formazione obbligatoria: ora, la formazione diventa facoltativa, con retribuzione pari al 35%, e decade il limite minimo per le aziende di contratti di apprendistato da convertire in assunzioni entro tre anni, per poter usufruire nuovamente della tipologia contrattuale.

I contratti di lavoro erano divisi in 27 tiplogie diverse (subordinati, rapporti assimilabili, autonomi e forme speciali). Col Jobs Act governo vuole ridurre il numero delle forme di contrattualizzazione e aumentare le garanzie per i lavoratori.

Redazione Tecnica

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