Decadenza permesso di costruire: valutazione inizio lavori e oneri concessori versati

La decadenza del permesso di costruire per mancato inizio lavori è un argomento che spesso è oggetto di controversia fra il titolare e l’ufficio tecnico comunale, con la giurisprudenza chiamata a risolvere i vari casi concreti. Due recenti sentenze

Mario Petrulli 23/05/23
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La decadenza del permesso di costruire per mancato inizio lavori è un argomento che spesso è oggetto di controversia fra il titolare e l’ufficio tecnico comunale, con la giurisprudenza chiamata a risolvere i vari casi concreti.

Segnaliamo, sull’argomento, due recenti sentenze che trattano di due aspetti rilevanti sull’argomento: la valutazione dell’inizio lavori idoneo ad evitare la decadenza e le conseguenze sugli oneri concessori versati nel caso di decadenza del titolo.

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Valutazione inizio lavori per evitare decadenza permesso

In merito al primo aspetto, la giurisprudenza ha evidenziato che, in termini generali, l’effetto della decadenza del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Testo Unico Edilizia[1], si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge. L’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità e alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò all’evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e, quindi, non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione[2].

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Il TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, nella sent. 5 maggio 2023, n. 706, ha ribadito che i lavori di costruzione del manufatto assentito possano reputarsi effettivamente iniziati, quando siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del beneficiario dello stesso di realizzare quanto da lui progettato. Non sono ritenuti, di per sé, sufficienti a comprovare un serio animus aedificandi, ad esempio, la recinzione e la pulizia dell’area di intervento, l’allestimento e messa in sicurezza del cantiere, lo sbancamento e il livellamento del terreno, la realizzazione di minime opere di scavo e di sottofondazione, nonché di limitate opere di fondazione[3].

Nel caso di specie, erano stati eseguiti “opere di espianto di fusti arborei e allo scavo delle fondazioni dell’edificio con annesse opere complementari”; conseguentemente, i giudici calabresi, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale sopra citato, hanno ritenuto dette attività non sufficienti a comprovare un effettivo “inizio dei lavori”, rilevante ai sensi dell’art. 15 del Testo Unico Edilizia, ed hanno confermato la correttezza dell’operato dell’ufficio tecnico comunale che aveva dichiarato la decadenza del permesso.

Inoltre, secondo la sentenza in commento, non è sufficiente ad impedire la decadenza del permesso a costruire, per l’inutile decorso del termine annuale di inizio lavori, il semplice invio di una comunicazione di inizio dei lavori, non accompagnata dalla concreta realizzazione delle opere[4].

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Decadenza permesso e oneri versati

La seconda pronuncia che segnaliamo è la sent. 8 maggio 2023, n. 7699, del TAR Lazio, Roma, sez. II quater; in questo caso l’oggetto della decisione riguarda la conseguenza della decadenza del permesso di costruire sugli oneri concessori.

I giudici romani hanno ribadito che, a fronte della sopravvenuta decadenza del permesso di costruire (così come nel caso di rinuncia allo stesso, da parte del relativo titolare), il Comune non ha più titolo a trattenere le somme complessivamente percepite a titolo di oneri concessori, con conseguente obbligo di restituirle alla società ricorrente, ai sensi dell’art. 2033 c.c., unitamente alle (eventuali) polizze fideiussorie collegate. Ed invero, il pagamento degli oneri trova titolo non già nel mero rilascio formale del permesso di costruire quanto piuttosto nella sostanziale trasformazione del preesistente assetto urbanistico-edilizio del territorio comunale, determinata dalla realizzazione del proposito edificatorio assentito.

Più precisamente, il cosiddetto costo di costruzione, commisurato alla superficie e volumetria dell’intervento, è volto a “remunerare” la cosiddetta compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare in ragione della trasformazione del territorio consentita al privato istante.

Gli oneri di urbanizzazione assolvono, invece, alla prioritaria funzione di compensare la collettività per l’ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, quale conseguenza della necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione ovvero di utilizzare più intensamente quelle già esistenti[5].

La mancata alterazione del preesistente assetto urbanistico-edilizio conseguente alla sopravvenuta decadenza del titolo autorizzativo ovvero alla rinuncia allo stesso, da parte del relativo titolare, priva, dunque, di “causa” l’obbligazione di pagamento degli oneri concessori adempiuta dall’interessato, con conseguente diritto di quest’ultimo ad ottenerne la ripetizione, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. (cd. indebito oggettivo[6]).

Ad avviso della giurisprudenza, peraltro, tale diritto alla restituzione, proprio in quanto connesso, dal punto di vista causale, alla realizzazione del proposito edificatorio, sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, con conseguente diritto in capo all’interessato, di ottenere la rideterminazione del contributo e la restituzione della quota di esso calcolata con riferimento alla porzione non realizzata[7].

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[1] DPR n. 380/2001.

[2] TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 5 settembre 2019, n. 10766.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 3 giugno 2021, n. 4239; TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 6 marzo 2023, n. 523.

[4] TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 26 maggio 2011, n. 2855.

[5] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, sent. 13 gennaio 2022, n. 235.

[6] Cfr., da ultimo, TAR Puglia, Bari, sez. III, sent. 7 novembre 2022, n. 1509.

[7] TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. 16 febbraio 2022, n. 495.

Immagine: iStock/jax10289

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