L’obiettivo di rilanciare parte dell’economia attraverso lo sviluppo dell’attività edilizia ha portato negli ultimi anni all’elaborazione di diversi sistemi di incentivazione e premialità volti, parallelamente, anche a migliorare la qualità dei manufatti edilizi con interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione. Le recenti politiche di governo del territorio, focalizzate a raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo pari a zero, hanno stimolato interventi normativi volti al recupero del patrimonio edilizio esistente anche attraverso processi di sostituzione o qualificazione dello stesso, specie qualora sia privo di valore storico-artistico e necessiti di adeguamento tecnologico e funzionale.
Dal quadro sopra esposto deriva inevitabilmente che i riflettori rimangano puntati sulla ristrutturazione edilizia quale intervento che sviluppa le maggiori potenzialità tra quelli di recupero dell’esistente. In generale, si è affermato che la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché, mentre quest’ultima presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata.
Ristrutturazione edilizia: di che tipo?
Come ampiamente noto agli operatori del settore edilizio il concetto normativo originariamente previsto dal legislatore è stato più volte novellato, adattandolo all’evoluzione giurisprudenziale che lo ho ha visto interessato. In particolare, il legislatore nazionale è giunto a sintetizzare diversi tipi di ristrutturazione edilizia distinguendo gli stessi a seconda che si intervenga su un manufatto mantenuto in essere (c.d. ristrutturazione conservativa), con possibilità di addizionare volumi e modificare la sagoma, ovvero si provveda alla sua demolizione e ricostruzione con identità di volumetria fatta eccezione per le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica (c.d. ristrutturazione ricostruttiva), o, da ultimo, che vi sia una ricostruzione anche non contestuale alla demolizione di edifici o parti di essi purché sia possibile accertarne la preesistete consistenza.
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Le modifiche alla sagoma
In particolare nel corso del tempo si è avuta una restrizione degli elementi di uguaglianza tra il vecchio e il nuovo manufatto da prima con l’eliminazione della identità dell’area di sedime per arrivare nel 2013 con la possibilità di apportare modifiche alla sagoma.
Per effetto della modifica introdotta dalla l. 9 agosto 2013 n. 98 l’identità di sagoma diviene essenziale, affinché si possa ancora trattare di ristrutturazione edilizia, solo in relazione alla c.d. demo-ricostruzione realizzata su immobili sottoposti a vincoli ex d.lgs. 42/0004.
Non vi è dubbio che nella prassi le maggiori problematiche oggetto di discussione riguardano la ristrutturazione c.d. ricostruttiva dalla quale, in seguito alla riformulazione normativa dell’art 3 lett. comma 1 lett. d) del d.P.R. 380/2001 avvenuta nel 2013, vengono espunte quali condizioni essenziali affinché si permanga nell’ambito dell’intervento di recupero l’identità di sagoma e di area di sedime.
Seppur l’identità di volume rispetto al manufatto demolito sia in grado di garantire l’invarianza del carico urbanistico, nell’ottica già esposta di riduzione-azzeramento del consumo del territorio, si deve parallelamente rilevare che le aspettative legate alle evoluzione normativa (che hanno di fatto ampliato le maglie degli interventi di recupero) si scontrano con altre disposizioni legate comunque al corretto uso del territorio e che permangono come immutato pilastro di tutela di interessi pubblici paritari rispetto a quelli sopra prospettati. In particolare la maggior frizione si ha con l’applicazione delle disposizioni in tema di distanze tra edifici muniti di pareti finestrate così come disciplinate dall’art 9 del d.m. 1444/1968.
Consolidata giurisprudenza amministrativa ha delineato gli elementi fondamentali che connotano la normativa da ultimo richiamata, volta alla tutela della salute pubblica degli abitati, principio statale non derogabile sia dal Legislatore regionale sial dal pianificatore locale, se non nei limiti oggi previsti ex art 2 bis d.P.R. 380/2001.
Il d.m. 1444/68 trova la propria forza normativa nella disposizione di cui all’art 41-quinquies l. 1150/1942, che riconosce la necessità di adottare, al fine di tutelare l’igiene e la salute nell’abitato, limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o parcheggi.
di Elisabetta Righetti
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