Innanzitutto bisogna verificare se sull’area di interesse ricadeva un obbligo di licenza derivante da un regolamento locale, oppure era ricompreso in una perimetrazione di piano regolatore in vigore al momento dell’edificazione.
Se la condizione è verificata, allora l’immobile potrebbe ritenersi legittimo anche in assenza di una espressa licenza edilizia. In tali casi, la planimetria catastale o altra documentazione tecnica può essere elevata a documento avente la capacità di fornire una legittimità.
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Approfondiamo il caso di un edificio antecedente al 1967 ma successivo al 1861 e vediamo nel dettaglio come muoversi, così come descritto da Marco Campagna nel Manuale del progettista per gli interventi sull’esistente e per la redazione di Due Diligence immobiliari , edito da Maggioli Editore.
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Attivare una ricerca storica
Anzitutto, occorre ricercare, se già non si conosce, la storia dei regolamenti edilizi locali e dei piani regolatori. Tali studi devono poter essere effettuati presso lo stesso comune, i cui archivi, salvo casi particolari, devono contenere l’intera evoluzione della disciplina. Laddove, per un motivo o per un altro, questi atti non fossero più reperibili (furti, danni, fatti dolosi), la stessa amministrazione dovrebbe essere in grado di certificarlo.
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I regolamenti edilizi per un certo periodo venivano approvati dalla Giunta Provinciale Amministrativa (in origine era il Consiglio Provinciale, poi mutato in Commissione Amministrativa Provinciale e poi appunto Giunta Provinciale Amministrativa, struttura che rimase in vita fino ai primissimi anni ’70 del XX secolo), che nei fatti svolgeva il ruolo di giudice amministrativo di primo grado, ossia la funzione ad oggi svolta dai Tribunali Amministrativi Regionali.
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Verificare la vigenza dell’obbligo di licenza
Una volta ricostruita l’evoluzione della normativa locale, intesa come regolamento edilizio e piano regolatore, si può verificare se l’edificio ricadeva in un tempo ed in un area che erano soggetti a licenza edilizia oppure no. Altrimenti, le verifiche da fare sono quelle del sottoparagrafo precedente, posto che la realizzazione dell’edifico sia stata successiva al 1939; in questo caso si potrà ritenere sufficiente la planimetria catastale, ammesso che esista, dato che vi erano immobili, come quelli rurali, esclusi dall’obbligo di accatastamento (perché non erano soggetti a tassazione sulla proprietà).
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Generalmente, i piccoli comuni si dotavano di un generico regolamento edilizio, spesso semplicemente copiato da quello del capoluogo e, al massimo, di un programma di fabbricazione, il quale era un documento ammesso come alternativa al piano regolatore, appunto nei comuni più piccoli. I programmi di fabbricazione potevano essere costituiti anche solo da un testo di regole tecniche, ed alcuni comuni sono rimasti con il programma di fabbricazione fino ad epoche recentissime.
Laddove si dovesse ricadere in una zona in cui effettivamente l’edificazione era libera da obbligo di licenza, e solo in questi casi, le fotografie aeree possono aiutare a fornire una certificazione, in via indiretta, della conformità di un fabbricato, ma per poterlo fare devono sussistere queste condizioni:
- la foto deve essere ovviamente chiara e nitida, e di risoluzione tale da consentire la certezza nell’individuazione del fabbricato e, possibilmente, anche del contesto limitrofo, per poter individuare l’immobile senza rischio di essere smentiti o quantomeno per avere dei riferimenti certi;
- è importante poter prendere in scala alcune misure dalla foto, quindi la stessa dovrebbe essere idealmente aerea nadirale;
- l’archivio da cui è estratta l’immagine deve poter fornire una certificazione sull’autenticità e, ovviamente, poter certificare la data di scatto.
Negli altri casi, le fotografie aeree storiche possono comunque tornare molto utili ma non potranno essere usate come certificazione urbanistica, in quanto se in un dato momento sussisteva l’obbligo di licenza, la sua assenza presuppone una condizione illegittima, indipendentemente dall’epoca di costruzione in assoluto.
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Il visto del podestà
Da valutare, in questo contesto, anche l’indicazione contenuta nell’art. 220 del regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265, la norma che ha introdotto a livello nazionale l’obbligo del certificato di agibilità: in questo articolo, viene specificato che “i progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti, debbono essere sottoposte al visto del podestà, che provvede previo parere dell’ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia”.
Ciò lascia intendere che anche le case rurali, quindi esterne ai centri abitati, dovevano sottostare ad una sorta di procedura autorizzativa per la verifica della sussistenza delle condizioni di agibilità, certificate poi con la procedura di cui al successivo articolo 221.
Tuttavia questo “visto del podestà” non appare equiparabile ad una licenza edilizia, in quanto si tratta(va) di una procedura relativa all’accertamento delle condizioni di abitabilità e non era espressamente indicata come autorizzazione alla costruzione in sé.
In ogni caso, appare chiaro che ogni costruzione comunque doveva rispettare le norme igienico-sanitarie e che tale verifica spettava all’amministrazione comunale, senza la quale la costruzione non poteva essere dichiarata abitabile.
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Manuale del progettista per gli interventi sull’esistente e per la redazione di Due Diligence immobiliare
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Marco Campagna | 2024 Maggioli Editore
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Foto:iStock.com/GlobalP
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