Di tanto in tanto, si leggono articoli sullo stato dei condoni edilizi, che, a distanza di 28 anni dalla prima sanatoria accordata dalla legge 47/1985 e poi seguita da ulteriori due leggi (l. 724/1994 e l. 326/2003), registrano ancora arretrati che destano scalpore.
Ogni condono edilizio è sempre stato prospettato come il mezzo per “stanare” immobili privi della concessione edilizia (ora permesso di costruire) e delle autorizzazioni per interventi su beni vincolati, per rimettere in ordine il territorio e poi successivamente, partire con un nuovo passo ed operare controlli del territorio per prevenire il ripetersi di fenomeni diffusi di abusivismo.
Ogni condono edilizio si è calato come una scure sugli uffici comunali, che improvvisamente si sono trovati a gestire un numero impressionante di richieste. L’annuncio di ogni imminente condono, ha peraltro sempre generato una recrudescenza di abusi, che confidavano nella successiva regolarizzazione, per effetto della legge in arrivo e nella difficoltà o mancanza di vigilanza da parte dei Comuni.
A distanza di quasi trent’anni dal primo condono, l’attenzione è puntata sulle migliaia di pratiche che ancora i Comuni devono smaltire: per inefficienza degli uffici, oppure perché i privati non presentano la documentazione mancante, oppure perché società o professionisti esterni incaricati ad hoc, non hanno ancora completato il lavoro loro affidato.
In certe realtà l’arretrato risulta considerevole ed i dati impressionanti (Il Sole 24 Ore del 28 agosto 2012, riferisce di arretrati pesanti a Napoli, di oltre il 90% nella Penisola Sorrentina; 37% a Roma; 22% a Bari). Ci sono anche Comuni virtuosi che hanno concluso tutte le istruttorie e definito tutti condoni (per esempio Bologna ma anche molti altri Comuni più piccoli).
Come si conclude una domanda di condono? La risposta è facile: con l’accoglimento che quindi regolarizza l’immobile a tutti gli effetti, oppure con il rigetto, da cui consegue, che l’immobile rimane abusivo. Per questi ultimi i Comuni devono attivare il conseguente procedimento sanzionatorio, ossia l’ingiunzione a demolire e, se non ottemperata, il provvedimento per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, del bene abusivo e dell’area di sedime, fino al decuplo della superficie utile abusiva. Seguirà poi l’ordinanza di sgombero se il bene non viene spontaneamente liberato.
Spetta poi al Consiglio Comunale decidere se il bene acquisito, debba essere demolito a spese dei responsabili degli abusi, oppure vi siano prevalenti interessi pubblici alla sua conservazione che, in tal caso, non deve contrastare con rilevanti interessi urbanistici e ambientali.
Quindi, esaurito il condono edilizio, per le pratiche diniegate, i Comuni si trovano o si troveranno a dover perseguire i relativi abusi edilizi.
Il motivo ostativo al rilascio della sanatoria, nella maggioranza dei casi, è rappresentato dall’esistenza di un vincolo (storico, paesaggistico, archeologico, ambientale, idrogeologico, cimiteriale, stradale, sismico, ecc.) che comporta l’inedificabilità assoluta, oppure di un vincolo per il quale non è stata ottenuta l’autorizzazione favorevole dall’Autorità preposta alla sua tutela.
Le costruzioni abusive non ammesse alla sanatoria sono quindi, principalmente, quelle che risultano in contrasto con interessi pubblici rilevanti.
Ma il seguito dei procedimenti si presenta alquanto difficoltoso.
Sarebbe interessante disporre di dati, meglio se aggregati per Regione, sul numero di condoni fino ad ora negati e sui relativi abusi effettivamente perseguiti con demolizione o acquisizione al patrimonio dei Comuni. Sarebbe altresì interessante conoscere se, a fronte dell’eventuale inerzia tenuta dai Comuni, sono stati operati interventi sostituivi da parte di chi ne ha il potere.
Altro dato interessante sarebbe conoscere i problemi incontrati dai Comuni che hanno iniziato i procedimenti sanzionatori in conseguenza dei dinieghi. Il contenzioso amministrativo che ne è scaturito, con ricorsi (Tribunali Amministrativi Regionali e Consiglio di Stato), prima contro il diniego del condono e poi contro l’ingiunzione a demolire, ha certamente comportato un congelamento a tutto vantaggio dell’abuso.
La richiesta di sospensiva, in passato accordata con una certa facilità, ha comportato di rinviare per moltissimi anni (10/15), l’esecuzione dei provvedimenti.
Infine, può sollevarsi la questione, che interessa direttamente le casse dei Comuni, relativa alla richiesta di rimborso degli oneri corrisposti, a seguito del diniego di condono che sia stato ritenuto legittimo dai Giudici.
Infatti, mentre l’oblazione versata allo Stato produce l’estinzione dei reati (e pertanto non potrà essere chiesta in restituzione), gli oneri di urbanizzazioni che sono stati corrisposti ai Comuni per conseguire il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria, poi negato, potranno essere chiesti in restituzione (entro il termine di prescrizione), una volta accertato con sentenza definitiva che il diniego del condono era legittimo e che pertanto la sanatoria non può essere conseguita.
VT
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