Quando parliamo di condoni, abusi edilizi, sanatorie e certificati di agibilità non sempre c’è un giudizio unanime, poiché accadono circostanze dove esistono più interpretazioni della normativa. Questo lo notiamo dalla continua uscita di molteplici sentenze che possono interessare casi specifici, in cui l’ambiguità della situazione causa inevitabilmente scontri e criticità.
Infatti, ecco un caso pratico dove una volta avuto il titolo edilizio in sanatoria, viene richiesto per l’immobile il certificato di agibilità. Ma in questa situazione subentrano altri fattori che ne impediscono il rilascio.
Vediamo perché.
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Condono e agibilità: caso pratico
Caso pratico. Una società ha acquistato un complesso immobiliare dove erano presenti dei locali seminterrati, ad uso complementare alla residenza. Una volta che questi piani hanno ottenuto il condono, la società ha fatto domanda per il certificato di agibilità, in modo da renderli residenziali.
Ma, in seguito al sopralluogo, il Comune non li ha ritenuti idonei ad uso residenziale, poiché violavano dei requisiti igienico-sanitari e ha annullato addirittura la sanatoria edilizia per autotutelarsi.
Come difesa a tale diniego la società, seguendo la Legge 47/1985 (primo condono edilizio), riteneva che la concessione del titolo edilizio in sanatoria doveva determinare il rilascio del certificato di agibilità anche in deroga alla normativa regolamentare.
Precisamente secondo il comma 19: “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni“.
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Con il condono non è automatica l’agibilità
La sentenza n. 6091/2021 del Consiglio di Stato riguarda quindi il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria che è stato richiesto ai sensi dell’art. 32 della Legge n. 326/2003 (terzo condono edilizio) e della richiesta del certificato di agibilità come previsto dall’art. 35, comma 19 della Legge n. 47/1985 (primo condono edilizio).
Dai giudici è stata considerato illegittimo l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria, ma hanno voluto sottolineare che con il condono non si ha direttamente l’agibilità.
Inoltre, dal sopralluogo è stato confermato che c’erano diversi fattori per cui l’immobile è stato valutato non adatto ai fini residenziali, dal momento che era:
- collocato al piano interrato dell’immobile e situato a circa 3 metri sotto il piano di campagna;
- con precarie condizioni di umidità diffusa e infiltrazioni, difetti di aria e di luce;
- distribuito internamente in maniera differente rispetto alle parti sanate con il condono edilizio;
- senza aerazione e senza illuminazione diretta essendoci finestre a “bocca di lupo” con grigliato posto a livello del giardino, quindi non garantiva un adeguato flusso d’aria.
Per cui è stato deciso che si usufruisse dei piani seminterrati solo a uso di servizio, come cantine o magazzini.
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Il condono non può essere soggetto a interpretazioni estensive
Inoltre, il Consiglio di Stato ha ribadito che il condono edilizio, per la sua natura derogatoria ed eccezionale, non può essere soggetta a interpretazioni estensive e, soprattutto, che possano incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale.
Per confermare questa tesi, sono state riprese le affermazioni della Corte Costituzionale che, grazie alla sentenza 256/1996, ha precisato che:
- il condono non può derogare ai requisiti richiesti da disposizioni legislative, ma solo ad autonome e autosufficienti disposizioni regolamentari;
- il condono edilizio con comporta l’automaticità del rilascio del certificato di abitabilità di un immobile;
- il Comune è tenuto a verificare sempre la conformità delle norme tecniche, delle leggi sanitarie (condizioni di salubrità), di quelle in materia di servizi essenziali e di abitabilità.
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Tale principio è evidente, come abbiamo detto, nella sentenza 10 luglio 1996 n. 256 con la quale la Corte costituzionale ha affermato che la deroga sopra citata non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto: “escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità (….) a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all’art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 425/94), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica”, e che “permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari”.
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Principio di tutela della salute
Ovviamente, con l’art. 35, comma 20, della Legge n. 47/1985 non si vuole derogare in maniera indiscriminata rispetto le normative che regolano i titoli di abitabilità dei fabbricati. Questo perché è inteso garantire a tutti i diritti della Costituzione, tra cui quello della salute e quello del lavoro e dell’abitazione. Una deroga generale e indiscriminata rispetto la norma che tutela la salute va contro sia ai principi dell’art. 32 della Costituzione, ma anche contro certi precetti che sono presenti all’interno della stessa stessa Legge n. 47/1985.
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