La prima casa è un bene riconosciuto meritevole di tutela da parte del legislatore previdenziale. Sulla possibilità per i dipendenti del settore privato di chiedere un’anticipazione del TFR per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa (e per quelli pubblici di accedere ai Fondi Pensione negoziali), pubblichiamo un contributo di Simona Oddo Casano, tratto dal sito Ilpersonale.it.
Senza voler fare (facili) considerazioni sulla pressione fiscale che l’ha vista recentemente protagonista (IMU e relativi balletti), c’è da dire che l’acquisto e la ristrutturazione della prima casa possono essere fatti utilizzando la facility dell’anticipazione sul TFR (trattamento di fine rapporto), in base alle regole riportate dal combinato disposto dell’articolo 2120 del codice civile e della legge n. 297/1982.
In base a tale previsione legislativa, peraltro valida esclusivamente per i lavoratori dipendenti del settore privato, l’anticipazione sul TFR può:
– essere acquisita dopo 8 anni di attività lavorativa (requisito temporale);
– consistere nel 70% del TFR accumulato alla data della richiesta (importo massimo liquidabile);
– essere attribuita entro il limite del 10% degli aventi titolo, e comunque non oltre il 4% del numero totale dei lavoratori dipendenti (richieste ammissibili);
– essere concessa per spese sanitarie straordinarie, acquisto/ristrutturazione della prima casa (a favore del lavoratore dipendente e/o dei suoi figli), spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi parentali e formativi introdotti dalla legge n. 53/2000 (motivazioni).
Tale possibilità di origine legislativa è invece preclusa ai lavoratori dipendenti del settore pubblico, anche se in regime di TFR in quanto assunti successivamente al 1° gennaio 2001.
Per loro, invece, la strada si è aperta con la nascita dei Fondi Pensione negoziali, infatti:
– dopo 8 anni di iscrizione al Fondo;
– sull’intera posizione individuale effettivamente accumulata;
– per le situazioni legate a: spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche, acquisto/interventi di ristrutturazione per la prima casa (per il lavoratore e per i suoi figli), congedi per la formazione e per la formazione continua è possibile accedere alle anticipazioni direttamente dal Fondo.
L’argomento, come è facile intuire, è di grande attualità e riveste particolare interesse per i lavoratori, specialmente di questi tempi: infatti, accendere oggi un mutuo è un’impresa ardua, sia per le condizioni economiche del richiedente sia per le condizioni contrattuali praticate dagli istituti bancari, una volta acquisita la loro ormai non più scontata disponibilità.
Sul tema in questione, proprio per l’opportunità che rappresenta, si è più volte espressa la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, sollecitata da richieste di chiarimenti in merito: e anche recentemente ha risposto su un quesito in materia di anticipazioni per la ristrutturazione della prima casa.
In verità, il quesito riguarda un caso un po’ particolare ma che, data l’evoluzione in corso del mercato del lavoro, è destinato a diventare sempre più frequente, vista la crescente presenza di lavoratori stranieri nel nostro Paese e, conseguentemente, tra gli iscritti ai Fondi pensione negoziali.
Quesito: un iscritto a un Fondo, occupato in Italia, può ottenere l’anticipazione dal suo Fondo per ristrutturare la sua prima casa di abitazione, situata all’estero, presso la quale risiedono il coniuge non legalmente separato e/o i suoi figli?
Alcuni richiami preliminari della COVIP:
– il significato di prima abitazione: la casa, centro degli interessi dell’iscritto (oppure di un suo figlio), deve rappresentare la sua residenza oppure risultare destinata a sua dimora abituale
– la localizzazione dell’immobile: non è discriminante la sua collocazione in Italia piuttosto che all’estero ai fini della concessione dell’anticipazione
– i presupposti: l’immobile deve essere di proprietà dell’iscritto (o dei suoi figli), e destinato dagli stessi soggetti a loro residenza o dimora abituale
Come chiarito dalla giurisprudenza, il concetto di residenza e quello di dimora abituale descrivono uno stato di fatto, nel senso che un certificato di residenza non è risolutivo per individuare l’effettivo luogo di dimora abituale.
Nel caso specifico, poi, data la sua particolarità (non coincidenza tra la dimora abituale con le risultanze anagrafiche), anche un’autodichiarazione risulta essere altrettanto insufficiente: ecco dunque che, per ottenere l’anticipazione, graverà sull’iscritto l’onere di fornire al Fondo specifici elementi di prova, idonei ad attestare la veridicità di quanto dallo stesso attestato.
Compito (e responsabilità) del Fondo sarà poi procedere alla valutazione della congruità e della logicità delle dichiarazioni effettuate dall’iscritto circa l’effettiva sussistenza della dimora abituale all’estero: in mancanza di prove concrete, saranno i dati anagrafici a prevalere.
In ogni caso:
– non può parlarsi di dimora abituale all’estero quando il luogo dichiarato come tale non risulti facilmente raggiungibile da quello in cui l’iscritto presta la propria attività lavorativa in Italia
– i cittadini extracomunitari iscritti nell’anagrafe della popolazione in Italia hanno l’obbligo di rinnovare la dichiarazione di dimora abituale nel Comune entro 60 giorni dal rinnovo del permesso o della carta di soggiorno (per chi vive queste situazioni, si esclude così l’eventualità di richiedere anticipazioni per ristrutturazioni, in quanto non è possibile far valere la dimora all’estero come propria dimora abituale).
Articolo di Simona Oddo Casano, tratto da ilpersonale.it
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