Il cosiddetto Piano Città, inserito dal governo all’interno del Decreto Crescita e Sviluppo, presenta luci e ombre. È l’opinione dell’Istituto Nazionale di Urbanistica che, analizzando il provvedimento, ne ha ravvisato aspetti positivi accostati ad altri che suscitano perplessità. Leggi anche Decreto Crescita, ecco come funziona il Piano Città.
Nel Piano Città è da considerarsi come aspetto positivo anzitutto il fatto che il governo abbia colto l’opportunità di utilizzare le Città come laboratori economici e sociali per innescare alcune azioni condivise e visibili per la crescita, e abbia resistito alla tentazione di considerarle esclusivamente centri di spesa pubblica da controllare e ridurre. L’auspicio è che si tratti di un primo passo, certo non sufficiente, verso il ritorno alle politiche urbane nazionali, dopo un decennio in cui queste sono scomparse dall”agenda” dello Stato.
L’Inu considera inoltre positivo che vengano in parte ripresi ed in parte introdotti per essere sperimentati, nuovi strumenti e nuove procedure (senza offrire il “tradizionale” ricorso a deroghe, varianti automatiche, o altro di simile, cui si è assistito dalla fine degli anni 90) quali, per esempio, la Cabina di regia ed il Contratto di valorizzazione urbana. Importante poi che ritorni un’azione che può promuovere e stimolare la progettualità competitiva delle Città e la valutazione comparativa di tali progettualità.
Desta invece la perplessità dell’Inu la modesta entità delle risorse economiche effettivamente messe a disposizione (224 milioni spalmati su 6 anni), pur dovendosi considerare il realistico effetto volano (oltre a quello ottimisticamente sperato dal d.l.) nei confronti dell’investimento e delle risorse private che dovrebbero dilatare non poco l’entità economica complessiva. Non sembra poi abbastanza verosimile considerare come “Piano nazionale per le Città”, un insieme di interventi che appare più una miscellanea di oggetti che possono fruire di (pochi) finanziamenti pubblici, che un pacchetto integrato di azioni efficaci per la riqualificazione urbana, il miglioramento infrastrutturale, l’efficientamento energetico, la realizzazione di scuole o parcheggi, il social housing… (sono gli obbiettivi e campi di intervento dell’art 12 del d.l. 83/2012).
È da rilevare inoltre uno sguardo troppo limitato al breve periodo e condizionato dall’urgenza, cantierabilità e spendibilità degli interventi più che dallo spessore e valore dei progetti e la scelta del provvedimento di mettere in piedi il collegamento operativo diretto tra governo e città: potrebbe costituire un elemento di sottovalutazione il mancato coinvolgimento delle Regioni su una materia come quella della riqualificazione urbana.
In ultimo, ma non certo per ultimo, l’Inu si sarebbe aspettato (almeno nella relazione al d.l. 83/2012) un cenno di consapevolezza di questo Governo (di cui vanno certamente apprezzati l’impegno nei confronti del Paese, la competenza, la credibilità) sulla opportunità, necessità ed urgenza di offrire al Paese, con il Parlamento, un “telaio” di principi, obbiettivi e regole fondamentali per la pianificazione ed il governo del territorio (che attende la indispensabile legge nazionale dal 2001, per non dire dalla nascita della Repubblica, e cioè dalla modifica del Titolo V della Costituzione); un telaio cui si potrebbero meglio riferire, se esistesse, anche provvedimenti come quelli dello stesso d.l. 83/2012.
Leggi anche lo Speciale Decreto Crescita, con tutti gli approfondimenti sul d.l. 83/2012.
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