Doppia stangata in arrivo per chi vive in affitto. A lanciare l’allarme sono Cgil e Sunia che hanno fatto i primi calcoli sugli effetti degli incrementi dell’Imu e delle maggiorazioni previste nel ddl sul lavoro per quei proprietari di immobili che non applicano la cedolare secca.
Secondo le due organizzazioni sindacali gli aumenti rischiano di riversarsi sugli inquilini in affitto con una stima degli aumenti dei canoni intorno al 20%.
Secondo il sindacato, infatti, l’Imu per le seconde case, in assenza di una differenziazione per quelle date in affitto, vede aumenti che superano il 100% rispetto alla veccia Ici, “con il rischio serio che questi si riflettano sugli inquilini”, denunciano CGIL e Sunia.
Calcola il sindacato – secondo una parametro di riferimento medio dato da un’abitazione di circa 80 mq e ubicata in zona semicentrale – che a Roma, ad esempio, nel canale libero l’incremento è del 142%: si passa infatti da una vecchia Ici pari a 892 euro alla nuova Imu di 2.161, a fronte di un affitto mensile medio di 1.250 euro.
Per quanto riguarda Milano invece l’aumento dell’Imu è addirittura del 207% per un totale di 1.958 euro e con un affitto medio mensile di 1.100 euro. A Bologna siamo al 198% con un Imu pari a 1.915 euro a fronte di un affitto medio di 950 euro mentre a Palermo si registra un +119% per un Imu pari a 834 euro rispetto ad un affitto medio di 550 euro.
Le simulazioni condotte dalla CGIL e dal Sunia della nuova Imu registrano quindi aumenti sull’Ici sempre superiori al 100%, e ancor maggiori per le abitazioni affittate a canone concordato, dato che con l’ICI molti comuni avevano applicato aliquote ridotte rispetto a quelle ordinarie per rendere il canale concordato più appetibile per i proprietari (a Bologna era addirittura pari a zero).
Passando in rassegna le aliquote, per quanto riguarda le seconde case affittate a canale libero passano da 7 a 10,6 a Roma, da 5 a 9,6 a Milano, da 7 a 9,9 a Firenze, da 5,7 a 10,6 a Bologna, da 7 a 9,6 a Palermo, da 6,9 a 10,6 a Catania, da 7 a 10,7 a Genova, da 6 a 10 a Torino. Mentre per le seconde case affittate a canale concordato le aliquote passano da 4,6 a 10,6 a Roma, da 4 a 4,6 a Milano, da 6 a 7,6 a Firenze, da 0 a 7,6 a Bologna, da 3,8 a 9,6 a Palermo, da 6,5 a 10,6 a Catania, da 2 a 10,6 a Genova, da 1 a 4 a Torino.
Del tutto inaspettata la norma contenuta nel ddl di riforma del mercato del lavoro a copertura di parte delle spese del provvedimento.
Per quei proprietari di immobili che non applicano la cedolare si riduce, infatti, dal 15 a 5% lo sconto forfait previsto per chi dichiara con l’Irpef i redditi derivanti dalla locazione di immobili.
Di fatto l’imponibile su cui si paga l’imposta aumenta di 10 punti percentuali, pari a un incremento che la CGIL e Sunia calcolano sia pari ad un aggravio per i proprietari di circa 450 euro l’anno. Una cifra, spiega il sindacato, “che colpisce l’anello più debole della catena, ovvero quei proprietari con redditi più bassi che non vedono convenienza nell’optare per la cedolare secca con aliquote ridotte”.
Ecco perché, sostiene il sindacato, che unendo le due misure, e senza considerare gli incrementi delle addizionali comunali e regionali, la maggiore tassazione sugli appartamenti affittati può, in assenza di misure indispensabile per tutelare quagli inquilini che non hanno la possibilità di negoziare i canoni, incidere con aumenti stimati attorno al 20% sui canoni.
Un mercato delle locazioni già rigido e con alti canoni, denuncia il sindacato, il combinato disposto dei due provvedimenti potrà registrare ulteriori aumenti per quelle famiglie che si collocano generalmente in fasce di reddito basse o medio basse.
Considerando infatti le caratteristiche reddituali delle famiglie che oggi sono in affitto nel mercato privato, circa 1,7 milioni di nuclei percepiscono un reddito che non supera i 20 mila euro annui con un’incidenza dell’affitto che si attesta sul 50%, oltre la soglia ritenuta critica per l’equilibrio familiare.
Nuclei che di certo non potranno fare affidamento al fondo di sostegno destinato a quelle famiglie in affitto con bassi redditi, passato da 143 milioni de 2010 a 33 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 per arrivare nel 2013 ad uno stanziamento simbolico di soli 14 milioni di euro.
Un azzeramento ‘compensato’ dall’aumento dei canoni (+150% nel decennio) e degli sfratti per morosità, oggi pari all’85% del totale dei provvedimenti emessi.
In allegato la nota con le Proiezioni dell’Imu nei principali capoluoghi.
Fonte: Cgil
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