Soppalco, serve il permesso di costruire oppure no?

Come ogni settimana, ecco la selezione delle sentenze della settimana scorsa di interesse per l’edilizia e l’urbanistica, pubblicate nella scorsa settimana. L’argomento principale è il tema del soppalco, se serve o meno il permesso di costruire. Gli altri argomenti oggetto delle pronunce sono:

  • decadenza del permesso di costruire – necessità di apposito provvedimento;
  • ordinanza di demolizione – mancata indicazione del responsabile del procedimento;
  • convenzione di urbanizzazione – libera negoziazione;
  • oneri concessori – obbligazioni propter rem – trasferimento automatico in caso di trasferimento dell’immobile.

Soppalco ripostiglio: necessità o meno del permesso di costruire

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 2 marzo 2017 n. 985
Massima: La realizzazione di un soppalco-ripostiglio non fruibile alle persone come spazio di vero soggiorno non richiede il permesso di costruire

 

In base a un rilievo logico, prima che giuridico, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, di solito come nella specie, un’abitazione, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto.

In linea di principio, sarà necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con incremento delle superfici dell’immobile e in prospettiva ulteriore carico urbanistico: così, per tutte, Consiglio di Stato, sent. 3 settembre 2014 n. 4468. Si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile, e ciò sicuramente avviene quando esso non sia suscettibile di utilizzo come stanza di soggiorno. Quest’ultima è l’ipotesi che si verifica nel caso in cui lo spazio realizzato con il soppalco è un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone: si tratta, in buona sostanza, di un ripostiglio.

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Decadenza del permesso di costruire: necessità di un provvedimento

Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 2 marzo 2017 n. 322
Massima: La perdita di efficacia del permesso di costruire è subordinata all’esplicazione di una potestà provvedimentale ed è conseguenza di un atto formale dell’Amministrazione che, a sua volta, presuppone lo svolgimento di un apposito procedimento amministrativo

 

Pur sussistendo un principio in base al quale la decadenza di un titolo abilitativo si produce di diritto al semplice decorso del termine massimo previsto per l’inizio dei lavori, recenti pronunce hanno affermato che “la ragione che giustifica l’obbligo per l’ente locale di adottare un atto che formalmente dichiari l’intervenuta decadenza del permesso di costruire va individuata nella necessità di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino la pronuncia stessa (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 21-09-2016, n. 1454).

La perdita di efficacia del permesso di costruire è, dunque, subordinata all’esplicazione di una potestà provvedimentale ed è conseguenza di un atto formale dell’Amministrazione che, a sua volta, presuppone lo svolgimento di un apposito procedimento amministrativo.

L’esperimento di un procedimento, diretto ad accertare i presupposti per la comminatoria della decadenza, comporta la necessità che quest’ultimo sia posto in essere tempestivamente rispetto all’attività istruttoria esperita e agli accertamenti posti in essere e, ciò, nell’intento di consentire all’interessato di poter contestare efficacemente l’esistenza di opere idonee ad escludere la decadenza del titolo abilitativo. L’immediatezza dello svolgersi di detto procedimento è, infatti, una conseguenza della necessità di permettere all’interessato di poter contestare le ragioni dell’Amministrazione, avendo a riferimento un periodo di tempo ben delimitato e cristallizzato dagli accertamenti posti in essere (T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 06-10-2016, n. 1243), nell’ambito del quale sia possibile verificare con certezza la situazione e lo stato dei luoghi.

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Ordinanza di demolizione: mancata indicazione del responsabile del procedimento

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. II Napoli, sent. 27 febbraio 2017 n. 1145
Massima: La mancata indicazione del responsabile del procedimento nell’ordinanza di demolizione per un abuso edilizio è mera irregolarità e non incide sulla legittimità del provvedimento

 

La mancata indicazione del responsabile del procedimento nell’ordinanza di demolizione per un abuso edilizio è surrogata ex lege dagli artt. 4 e 5 della legge n. 241/1990 che individua tale responsabile nel dirigente del Servizio, in assenza di altre indicazioni; difatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza, l’eventuale omissione della comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e dell’ufficio in cui poter prendere visione degli atti, non è tale da incidere sulla legittimità del procedimento finale, risolvendosi piuttosto in una mera irregolarità. In tal caso si considera responsabile del procedimento il funzionario preposto alla competente unità organizzativa (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 6 maggio 1999, n. 597; TAR Friuli Venezia Giulia, sent. 9 dicembre 1996, n. 1241; TAR Campania, sez. IV Napoli, sent. 5 febbraio 2002, n. 691, sent. 18 marzo 2002, n. 1413 e sent. 14 giugno 2002, n. 3490).

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Convenzioni di urbanizzazione: libera negoziazione

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 27 febbraio 2017 n. 457
Massima: All’interno delle convenzioni di urbanizzazione risulta prevalente il profilo della libera negoziazione

 

All’interno delle Convenzioni di urbanizzazione risulta prevalente il profilo della libera negoziazione. Quindi, sebbene sia innegabile che la Convenzione urbanistica, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all’incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta dal codice civile (da ultimo, Consiglio di Stato, IV, 7 maggio 2015, n. 2313; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 luglio 2016, n. 1507).

In tal senso la giurisprudenza ha sostenuto che “gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni stessi. In altri termini, la causa della convenzione urbanistica e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della pubblica amministrazione” (Consiglio di Stato, V, 26 novembre 2013, n. 5603).

La necessità di salvaguardare l’equilibrio del rapporti contrattuali anche in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, impone di assumere come lesivo della posizione giuridica delle società ricorrenti e dei loro interessi, la determinazione comunale che ha preteso il pagamento degli oneri di urbanizzazione, secondo i parametri aggiornati successivamente alla stipula della Convezione, trattandosi di una variazione unilaterale delle obbligazioni assunte contrattualmente, che ha privilegiato, indebitamente, l’interesse perseguito dall’Ente locale rispetto a quello dell’operatore privato, gravato di tutto il peso delle modifiche intervenute in seguito al decorso del tempo (cfr. Consiglio di Stato, IV, 17 dicembre 2014, n. 6164).

Del resto è stato affermato che, laddove il riequilibrio delle previsioni della convenzione si renda necessario al fine di assicurare il rispetto delle disposizioni normative sopravvenute, non può avvenire sulla base di un intervento unilaterale e autoritativo dell’Amministrazione, bensì soltanto in esito alla rinegoziazione tra le parti, secondo buona fede, delle prestazioni oggetto delle obbligazioni che non possano più essere adempiute nel modo originariamente convenuto (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 10 febbraio 2017, n. 346; 26 luglio 2016, n. 1507).

Diversamente si sarebbe dovuto procedere, consensualmente, ad una revisione anche dell’impegno finanziario posto a carico della parte privata, attraverso un’attualizzazione e un aggiornamento del valore e dei costi delle opere che la stessa ha realizzato o si è impegnata a realizzare.

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Oneri concessori: trasferimento automatico in caso di trasferimento dell’immobile

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 27 febbraio 2017 n. 469
Massima: Gli oneri concessori si traducono in obbligazioni propter rem che hanno una circolazione giuridica parallela a quella del bene immobile cui esse accedono, e che, pertanto, in caso di trasferimento di tale bene si trasferiscono automaticamente sull’acquirente

 

Ai sensi dell’art. 16 del DPR 380/2001 il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all’atto del rilascio del titolo edilizio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.3.2015, n. 1504).

Come ha da tempo chiarito la giurisprudenza, tale contributo è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all’insieme dei benefici che le nuove costruzioni inducono nel contesto urbano, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata dalla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 ottobre 2015, n. 4950; TAR Lombardia – Brescia, 2 marzo 2012, n. 355; TAR Piemonte, 26 novembre 2003 n. 1675; prima dell’entrata in vigore del testo unico sull’edilizia i medesimi principi erano stati affermati da Consiglio di Stato, sez. V, 27 febbraio 1998, n.201; id., sez. V, 24 marzo 1977, n. 591).

Il contributo di urbanizzazione è, invece, commisurato al costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi concretamente nella zona, e differisce dal contributo da pagare all’atto del rilascio della concessione di costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese poste a carico della collettività per il conferimento al privato del diritto all’edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione del territorio.

Si tratta, quindi, di istituti diversi, da cui deriva, quale naturale conseguenza, la determinazione di oneri altrettanto diversi, l’uno relativo al costo sostenuto per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area, l’altro relativo al contributo, di carattere tributario, preordinato alla realizzazione del generale assetto urbanistico del territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 15 settembre 2014, n. 4685). Tali oneri, tuttavia, costituiscono (entrambi) oggetto di obbligazioni reali, aventi carattere ambulatorio passivo, cosicché il presupposto della loro esigibilità non è da radicare soltanto nella materiale esecuzione delle opere, quanto, a monte, nel rilascio del titolo edilizio (fatto costitutivo che sostanzia la determinazione dell’entità del contributo, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2261).

Alla luce di tali principi, le prestazioni patrimoniali di cui sopra si traducono in obbligazioni propter rem che hanno una circolazione giuridica parallela a quella del bene immobile cui esse accedono, e che, pertanto, in caso di trasferimento di tale bene si trasferiscono automaticamente sull’acquirente (cfr. TAR Campania – Napoli, sent. 16 aprile 2014, n. 2170).

Per le medesime ragioni, qualora il titolare rinunci al permesso di costruire, sia per intervenuta decadenza del titolo edilizio (ad esempio la scadenza dei termini iniziali o finali; il sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate), sia per fatti, giuridici o materiali, che rendano – in tutto o in parte (cfr., in proposito, TAR Lombardia – Milano, sent. 24 marzo 2010, n. 728) – non più realizzabile l’assentito programma edilizio, sorge l’obbligo dell’Amministrazione concedente di restituire, a domanda, le somme precedentemente corrisposte. Ciò in quanto il contributo di costruzione e gli altri oneri, di cui si è detto in precedenza, devono intendersi strettamente connessi alla trasformazione del territorio, con l’effetto che, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulterebbe privo di causa (TAR Lazio – Roma, sent. 12 marzo 2008, n. 2294).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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