Referendum Trivelle: le ragioni del SI spiegate bene

Il Referendum Trivelle del 17 aprile chiede ai cittadini di pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni solo per quenato riguarda le le trivellazioni effettuate entro le 12 miglia marine (circa venti chilometri). La maggior parte delle trivellazioni in acque italiane sono collocate oltre le 12 miglia, dunque fuori dal referendum.

Se vuoi conoscere bene il contenuto del referendum leggi Il Referendum Trivelle spiegato in modo semplice

Le trivellazioni in Italia vengono effettuate sulla base di una concessione che dura inizialmente 30 anni, prorogabile per due volte, cinque anni ciascuna. In totale: 40 anni. Più altri cinque possibili.

Dopo i 40/45 anni, secondo la normativa vigente oggi, scaduta la concessione finisce la trivellazione.

Il referendum contesta un provvedimento del governo Renzi inserito nella legge di stabilità 2016. Tale norma dice che anche quando il periodo concesso finisce, l’attività può continuare fino a che il giacimento non si esaurisce.

I referendari chiedono che questa novità sia cancellata e si torni alla scadenza “naturale” delle concessioni.

Il quesito del referendum  non riguarda possibili nuove trivellazioni entro le 12 miglia, che rimangono vietate per legge. Il referendum decide il destino delle trivellazioni già esistenti entro le 12 miglia. Il decreto legislativo 152 prevede già il divieto di avviare nuove attività entro le 12 miglia, per cui il referendum agisce solo su quelle già in essere.

 

Analizziamo le ragioni del SI

Se al referendum del 17 aprile vincesse il SI, entro 5-10 anni le concessioni verrebbero a scadere e quindi l’attività estrattiva dovrebbe cessare. Le concessioni hanno adesso una durata di trent’anni, prorogabili di dieci più altri cinque. Con il Sì non si elimina la possibilità di proroga: ci sarebbe la cessazione nel giro di alcuni anni delle attività attualmente in corso, tra cui quelle di Eni, Shell e di altre compagnie internazionali. Le ragioni del si sono sostenute dal Comitato No Triv.

Non si perdono posti di lavoro
L a produzione italiana è in calo: secondo i dati del del Ministero dello Sviluppo economico, le 135 piattaforme nei mari italiani hanno prodotto, nel 2015 circa 4,5 milioni di tonnellate di gas e 750 mila di greggio. Nel 2014 erano, rispettivamente, 4,8 milioni e 754 mila.

I giacimenti di gas più ricchi sono nell’Adriatico settentrionale; quelli di petroli sono al largo della Basilicata. Gli altri non sono abbastanza grandi da contribuire in maniera significativa alla riduzione della dipendenza energetica del nostro Paese.

Una piattaforma petrolifera non impiega un esercito di operai. Il maxi-progetto Ombrina mare, se fosse stato portato a termine, avrebbe creato solo 24 posti di lavoro.

Il prolungamento delle attività estrattive fino ad esaurimento del giacimento, per le 36 concessioni produttive entro il limite delle 12 miglia marine (5 di gas), non è decisivo per i destini delle aziende e non garantisce continuità alla produzione nazionale (tanto meno per quelle del gas). I trend globali stanno virando verso le energie rinnovabili, in un processo di transizione dell’occupazione costante, anche se lento.

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Eccessiva vicinanza alle coste
Le operazioni effettuate così vicino alla costa (meno di 12 miglia) possono provocare danni alle spiagge, all’ecosistema marino e possono rovinare l’appeal turistico. Secondo uno studio Ispra, ripreso da Greenpeace, tra il 2012 e il 2014 nei mari che circondano le trivelle oggi in azione sono stati superati (di poco) i livelli stabiliti dalla legge per la concentrazione di agenti inquinanti.

Spinta verso le rinnovabili
La vittoria del si sarebbe l’occasione per spingere il Governo verso l’adozione di una politica concreta che punti sulle energie rinnovabili. L’occasione del referendum serve anche per informare del fatto che in Italia non c’è una politica strategica sull’energia.

Il diritto di decidere
Devono essere gli italiani a decidere sulle perforazioni del suolo, sulla ricerca e sulla coltivazione di idrocarburi: il referendum è inteso anche come strumento per cancellare quella strategia energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori.

 

Perchè il referendum sia valido, deve andare a votare il 50% + 1 degli aventi diritto.

Redazione Tecnica

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